di Pierluigi Venturi
Nell’articolo dello scorso
14 febbraio avevamo fatto un breve excursus sul significato del vantaggio
competitivo, rimarcato la necessità di andare oltre a quanto studiato/appreso
in passato, per affrontare il nuovo contesto competitivo. Questo non significa
che quanto studiato sino ad oggi sia da buttare, ma, semplicemente, che
potrebbe non essere più sufficiente. Inoltre, continuare a formulare strategie
per le nostre aziende, come le abbiamo sempre pensate, potrebbe diventare anche
pericoloso, in quanto il ritardo di molte nostre PMI (e non solo) su alcuni
temi, come ad esempio la digitalizzazione, le pone in una condizione di
debolezza rispetto ai nostri competitors internazionali. Occorre decisamente
cambiare passo!
Il contesto è
profondamente cambiato! Lo diciamo tutti oggi. Tuttavia era cambiato anche
prima dell’arrivo del Covid-19, aggiungo io. È sufficiente prendere i dati
Istat e qualche studio di Confindustria, Cerved, Sace, Prometeia ecc.
precedenti al 2020, per rendersene conto. Ora però tutti quanti noi sembriamo
aver raggiunto una maggiore consapevolezza. Molto bene! Meglio tardi che mai! Tuttavia
prima di realizzare una nuova progettualità occorre comprendere bene le ragioni
del nostro ritardo e, soprattutto, non possiamo pensare di farlo dalla sera
alla mattina. Riflettere attorno al
concetto di vantaggio competitivo con nuovi paradigmi, a mio avviso, è un buon
punto di partenza.
In passato, abbiamo
appreso che, un vantaggio competitivo non è abbastanza se non è sostenibile,
ovvero non è duraturo nel tempo.
A tal proposito, Jay
Barney celebre professore americano, in un articolo del 1991 scrisse: “Un
vantaggio competitivo per essere sostenibile non deve basarsi su risorse e
competenze che siano rilevanti, non facilmente reperibili e replicabili ed
essere organizzate in modo tale da creare valore”.
Questa definizione ha
molte implicazioni perché significa che le risorse fisiche ed umane devono
essere rivolte a:
·
Permettere all'azienda di sfruttare le opportunità e combattere le
minacce del contesto in cui opera;
·
Essere limitate. Il vantaggio competitivo risulta dal fatto che
l'azienda usa risorse e strategie diverse da quelle degli altri concorrenti. Se
tutte le aziende usassero le stesse risorse, non ci sarebbe possibilità che una
di queste avesse un vantaggio competitivo;
·
Essere difficili da replicare. Questa difficoltà può essere
determinata da diversi fattori: ad esempio, le risorse e le competenze possono
essere legate ad uno specifico periodo di tempo e spazio, così che solo alcune
aziende che hanno seguito un certo sviluppo possono ottenerle. Un'altra ragione
può essere data dal legame tra le risorse e competenze e il vantaggio
competitivo poiché l'interazione e la natura degli elementi che creano il
vantaggio competitivo possono essere difficili da comprendere e interpretare e
quindi copiare. Un'ultima ragione per questo punto sono dei fenomeni sociali
interni e esterni all'azienda che influenzano il vantaggio competitivo;
·
Essere non sostituibili. Se, infatti, rimpiazzassimo una risorsa
con un'altra e ottenessimo lo stesso risultato non avremmo un vantaggio
competitivo e nessuna risorsa strategica.
Insomma, non è proprio
semplice creare un vantaggio competitivo e gettare le basi per renderlo
sostenibile nel tempo. Che fare? O meglio, se volessimo tradurre in concreto la
teoria della sostenibilità, cosa dovremmo fare praticamente? Partiamo con il dire che
dovremmo:
·
Assicurarci di avere delle risorse intangibili e forti come
brevetti, il valore del marchio, copyright, contratti a lungo termine e altre
risorse difficilmente imitabili;
·
Disporre di una varietà di prodotti piuttosto che focalizzarci su
uno solo e cercare di puntare su qualcosa di molto innovativo e tecnologico. In
questo modo (almeno all'inizio) saremo protetti dalla differenza tecnologica e
potremo poi adattarci e seguire altre strade con gli altri prodotti al cambiare
delle condizioni ambientali;
·
Puntare al massimo dell'efficienza dei costi grazie all'uso di una
tecnologia innovativa o di una strategia aziendale funzionale;
·
Costruire un team forte e ben integrato nel contesto in cui
operiamo. In questo modo le pratiche burocratiche e le altre operazioni che
richiedono l'interazione all'interno dell'azienda o con l'ambiente esterno,
saranno più facili da gestire;
·
Tenere saldo il mercato e la base di clienti. Se il nostro marchio
ha acquistato un certo potere nel mercato e siamo riusciti a creare una base di
cliente abbastanza stabile, dobbiamo usare tutto il potenziale e presentare i
nuovi prodotti ai nostri clienti esistenti, se possiamo soddisfare i loro
bisogni;
·
Concentraci sul bisogno che vogliamo soddisfare. Non cercare di
strutturare un bisogno o servizio troppo ambizioso. Scegliamo una o più sfere
di azione e sviluppiamo il nostro servizio o prodotto in questo senso per non
rischiare di avere troppi obiettivi e non riuscire ad offrire una soluzione
adeguata.
Come detto, nel precedente articolo, la diversificazione può rappresentare un vantaggio competitivo e soprattutto un’assicurazione nei confronti di un settore che potrebbe andare incontro a difficoltà. Ricordo che con il termine diversificazione intendiamo diverse cose che possono essere riassunte dall’efficace definizione di Wikipedia che propongo di seguito: la diversificazione è la crescita basata su nuovi mercati e nuovi prodotti.
Da sempre, quando parliamo di investimenti finanziari, riteniamo opportuno accostare il verbo diversificare ai prodotti proposti, in quanto è considerata un’ottima pratica per contenere il rischio sugli investimenti. In ambito produttivo, invece, in passato veniva considerato molto rischioso allontanarsi dal proprio mercato e/o prodotto/servizio di riferimento, a meno di progettualità ben formulate che riuscivano a contenerne i rischi. Insomma si considerava il rischio crescente a mano a mano che ci si allontanava dal proprio ambito. (Cfr. Fig. 1)
Fig.1 Esempio di diversificazione. Coca Cola
La sperimentazione è stata
da sempre lo strumento che ha permesso di contenere il rischio di decisione
sbagliate. Sperimentare significa produrre dei dati e quindi prendere decisioni
con maggiore consapevolezza. Oggi è molto più praticata che in passato considerato
il contesto di mercato dove, saturazione e globalizzazione dello stesso,
rendono molto complesso individuare i canali più corretti attraverso i quali veicolare
la comunicazione. Il rischio può essere gestito, contenuto e valutato, ma per
chi decide di fare impresa non è possibile eliminarlo. Occorre raggiungere un
livello di analisi per cui viene “accettato”. Magari ne parleremo meglio in un
prossimo articolo.
Tornando all’analisi dei
vantaggi competitivi, oggi, numerosi studiosi ritengono che sia molto rischioso
anche rimanere fermi e limitarsi a fare il “compitino”, come si usa dire. Forse più rischioso che sperimentare strade
che non portano nell’immediato a risultati concreti. Il motivo ti tale cambio
di paradigma è legato al nuovo concetto di Vantaggio competitivo che si collega
all’attuale contesto di mercato.
Rita Gunter McGrath, docente della Columbus
School, nel 2019, ha pubblicato in Italia un libro dal titolo molto forte: “La fine del vantaggio competitivo.
Ripensare alla strategia per restare al passo con il mercato”. Il lavoro
originario della McGrath risale al 2013 quando precisò con decisione, già
dall’introduzione, quale sarebbe stato il suo obiettivo: “In questo libro
analizzerò il concetto del vantaggio competitivo sostenibile e sosterrò che i
dirigenti devono smettere di usarlo come fondamento delle loro strategie. Al
suo posto offrirò una prospettiva strategica fondata sul concetto del vantaggio
competitivo transitorio: per vincere in contesti volatili e incerti, i
dirigenti devono imparare a sfruttare in modo rapido e deciso opportunità di
breve durata. Sosterrò che le strutture e i sistemi profondamente radicati su
cui fanno affidamento i manager per estrarre il massimo valore da un vantaggio
competitivo rappresentano una passività – obsoleta e persino pericolosa – in un
ambiente competitivo in rapida evoluzione. Questo, almeno, sembra chiaro
a tutti. Ma allora perché la prassi strategica di fondo non è cambiata? La
maggior parte dei dirigenti, anche quando si rende conto che i vantaggi
competitivi sono qualcosa di effimero, continua a utilizzare approcci e
strumenti strategici pensati per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile,
non per sfruttare rapidamente i vantaggi e passare da un vantaggio all’altro.
Il libro che avete tra le mani affronta questo problema. Offre un nuovo insieme
di prassi basato sul concetto del vantaggio competitivo transitorio, non
sostenibile. Con questo libro, avrete a disposizione un nuovo manuale di
strategia, basato su un nuovo insieme di ipotesi su come funziona il mondo: e
scoprirete che alcune delle aziende di maggior successo al mondo utilizzano
questo nuovo manuale per competere e vincere in un contesto di vantaggi
competitivi transitori.”
Personalmente sono molto d’accordo con quanto sostiene Rita McGrath anche
perché i numeri parlano chiaro: i vantaggi competitivi sono davvero diventati
transitori. Detto questo, ritengo anche che spingere troppo l’acceleratore
sulla transitorietà potrebbe generare comportamenti controproducenti nel breve
periodo, soprattutto se a farlo fossero PMI e ditte artigiane che si trovano
nella fase di costruzione di una loro identità. Rita McGrath nel suo lavoro ha
considerato aziende con una capitalizzazione di borsa da un miliardo di
dollari. Dimensione molto lontana dalla maggioranza delle nostre imprese. Questo non significa che un tale manuale non possa
essere applicato dalle nostre PMI! Anzi,
sarebbe auspicabile che tutte quante lo utilizzassero! Tuttavia, dal mio punto di vista, molte delle
nostre imprese scontano un gap di ritardo culturale rispetto al contesto
competitivo che stiamo vivendo. Ritardo che coinvolge sia imprenditori che
collaboratori. Dico questo, perché applicare il manuale strategico proposto da
Rita McGrath significa cambiare completamente la visione del fare impresa.
Noi tutti sappiamo che la Vision dell’imprenditore è condizionata dalla sua
cultura e da quanto sia diffuso il suo pensare all’interno della propria
organizzazione. Adottare, dunque, un
paradigma strategico che valuti il vantaggio competitivo come qualcosa di
transitorio, senza passare attraverso una valutazione del livello culturale
dell’imprenditore e della sua organizzazione, può essere molto pericoloso.
Occorre in primis partire da qui: con la realizzazione di un progetto di
crescita culturale in modo che l’organizzazione sia in grado di accogliere un
nuovo paradigma strategico. Ad ogni modo, indipendentemente, dal percorso che
si sceglierà, una piccola impresa non può, oggi, non inserire l’elemento dei
vantaggi competitivi transitori nell’analisi strategica e nelle valutazioni andamentali;
pena l’uscita stessa dal mercato.
Nel prossimo articolo entreremo maggiormente nel merito di questi aspetti. La
figura 2 rappresenta una bella metafora degli argomenti che affronteremo. In
sintesi, occorre pensare al vantaggio competitivo come fa un surfista con
l’onda che intende cavalcare: ricercare sempre la migliore con la
consapevolezza che, durante il suo surfare verso riva, dovrà, necessariamente,
cercarne sempre di nuove se vuole raggiungere la destinazione in piedi.
Fig. 2 Metafora del Vantaggio Competitivo transitorio