domenica 2 maggio 2021

Vantaggi Competitivi - Seconda Parte

 di Pierluigi Venturi

Nell’articolo dello scorso 14 febbraio avevamo fatto un breve excursus sul significato del vantaggio competitivo, rimarcato la necessità di andare oltre a quanto studiato/appreso in passato, per affrontare il nuovo contesto competitivo. Questo non significa che quanto studiato sino ad oggi sia da buttare, ma, semplicemente, che potrebbe non essere più sufficiente. Inoltre, continuare a formulare strategie per le nostre aziende, come le abbiamo sempre pensate, potrebbe diventare anche pericoloso, in quanto il ritardo di molte nostre PMI (e non solo) su alcuni temi, come ad esempio la digitalizzazione, le pone in una condizione di debolezza rispetto ai nostri competitors internazionali. Occorre decisamente cambiare passo!



 

Il contesto è profondamente cambiato! Lo diciamo tutti oggi. Tuttavia era cambiato anche prima dell’arrivo del Covid-19, aggiungo io. È sufficiente prendere i dati Istat e qualche studio di Confindustria, Cerved, Sace, Prometeia ecc. precedenti al 2020, per rendersene conto. Ora però tutti quanti noi sembriamo aver raggiunto una maggiore consapevolezza. Molto bene! Meglio tardi che mai! Tuttavia prima di realizzare una nuova progettualità occorre comprendere bene le ragioni del nostro ritardo e, soprattutto, non possiamo pensare di farlo dalla sera alla mattina.  Riflettere attorno al concetto di vantaggio competitivo con nuovi paradigmi, a mio avviso, è un buon punto di partenza.

 

In passato, abbiamo appreso che, un vantaggio competitivo non è abbastanza se non è sostenibile, ovvero non è duraturo nel tempo.

A tal proposito, Jay Barney celebre professore americano, in un articolo del 1991 scrisse: “Un vantaggio competitivo per essere sostenibile non deve basarsi su risorse e competenze che siano rilevanti, non facilmente reperibili e replicabili ed essere organizzate in modo tale da creare valore”. 

Questa definizione ha molte implicazioni perché significa che le risorse fisiche ed umane devono essere rivolte a:

·        Permettere all'azienda di sfruttare le opportunità e combattere le minacce del contesto in cui opera;

·        Essere limitate. Il vantaggio competitivo risulta dal fatto che l'azienda usa risorse e strategie diverse da quelle degli altri concorrenti. Se tutte le aziende usassero le stesse risorse, non ci sarebbe possibilità che una di queste avesse un vantaggio competitivo;

·        Essere difficili da replicare. Questa difficoltà può essere determinata da diversi fattori: ad esempio, le risorse e le competenze possono essere legate ad uno specifico periodo di tempo e spazio, così che solo alcune aziende che hanno seguito un certo sviluppo possono ottenerle. Un'altra ragione può essere data dal legame tra le risorse e competenze e il vantaggio competitivo poiché l'interazione e la natura degli elementi che creano il vantaggio competitivo possono essere difficili da comprendere e interpretare e quindi copiare. Un'ultima ragione per questo punto sono dei fenomeni sociali interni e esterni all'azienda che influenzano il vantaggio competitivo;

·        Essere non sostituibili. Se, infatti, rimpiazzassimo una risorsa con un'altra e ottenessimo lo stesso risultato non avremmo un vantaggio competitivo e nessuna risorsa strategica.

Insomma, non è proprio semplice creare un vantaggio competitivo e gettare le basi per renderlo sostenibile nel tempo. Che fare? O meglio, se volessimo tradurre in concreto la teoria della sostenibilità, cosa dovremmo fare praticamente? Partiamo con il dire che dovremmo:

·        Assicurarci di avere delle risorse intangibili e forti come brevetti, il valore del marchio, copyright, contratti a lungo termine e altre risorse difficilmente imitabili;

·        Disporre di una varietà di prodotti piuttosto che focalizzarci su uno solo e cercare di puntare su qualcosa di molto innovativo e tecnologico. In questo modo (almeno all'inizio) saremo protetti dalla differenza tecnologica e potremo poi adattarci e seguire altre strade con gli altri prodotti al cambiare delle condizioni ambientali;

·        Puntare al massimo dell'efficienza dei costi grazie all'uso di una tecnologia innovativa o di una strategia aziendale funzionale;

·        Costruire un team forte e ben integrato nel contesto in cui operiamo. In questo modo le pratiche burocratiche e le altre operazioni che richiedono l'interazione all'interno dell'azienda o con l'ambiente esterno, saranno più facili da gestire;

·        Tenere saldo il mercato e la base di clienti. Se il nostro marchio ha acquistato un certo potere nel mercato e siamo riusciti a creare una base di cliente abbastanza stabile, dobbiamo usare tutto il potenziale e presentare i nuovi prodotti ai nostri clienti esistenti, se possiamo soddisfare i loro bisogni;

·        Concentraci sul bisogno che vogliamo soddisfare. Non cercare di strutturare un bisogno o servizio troppo ambizioso. Scegliamo una o più sfere di azione e sviluppiamo il nostro servizio o prodotto in questo senso per non rischiare di avere troppi obiettivi e non riuscire ad offrire una soluzione adeguata.

 

Come detto, nel precedente articolo, la diversificazione può rappresentare un vantaggio competitivo e soprattutto un’assicurazione nei confronti di un settore che potrebbe andare incontro a difficoltà. Ricordo che con il termine diversificazione intendiamo diverse cose che possono essere riassunte dall’efficace definizione di Wikipedia che propongo di seguito: la diversificazione è la crescita basata su nuovi mercati e nuovi prodotti. 

Da sempre, quando parliamo di investimenti finanziari, riteniamo opportuno accostare il verbo diversificare ai prodotti proposti, in quanto è considerata un’ottima pratica per contenere il rischio sugli investimenti.  In ambito produttivo, invece, in passato veniva considerato molto rischioso allontanarsi dal proprio mercato e/o prodotto/servizio di riferimento, a meno di progettualità ben formulate che riuscivano a contenerne i rischi. Insomma si considerava il rischio crescente a mano a mano che ci si allontanava dal proprio ambito.  (Cfr. Fig. 1)  



Fig.1 Esempio di diversificazione. Coca Cola


La sperimentazione è stata da sempre lo strumento che ha permesso di contenere il rischio di decisione sbagliate. Sperimentare significa produrre dei dati e quindi prendere decisioni con maggiore consapevolezza. Oggi è molto più praticata che in passato considerato il contesto di mercato dove, saturazione e globalizzazione dello stesso, rendono molto complesso individuare i canali più corretti attraverso i quali veicolare la comunicazione. Il rischio può essere gestito, contenuto e valutato, ma per chi decide di fare impresa non è possibile eliminarlo. Occorre raggiungere un livello di analisi per cui viene “accettato”. Magari ne parleremo meglio in un prossimo articolo.

Tornando all’analisi dei vantaggi competitivi, oggi, numerosi studiosi ritengono che sia molto rischioso anche rimanere fermi e limitarsi a fare il “compitino”, come si usa dire.  Forse più rischioso che sperimentare strade che non portano nell’immediato a risultati concreti. Il motivo ti tale cambio di paradigma è legato al nuovo concetto di Vantaggio competitivo che si collega all’attuale contesto di mercato.

 Rita Gunter McGrath, docente della Columbus School, nel 2019, ha pubblicato in Italia un libro dal titolo molto forte: “La fine del vantaggio competitivo. Ripensare alla strategia per restare al passo con il mercato”. Il lavoro originario della McGrath risale al 2013 quando precisò con decisione, già dall’introduzione, quale sarebbe stato il suo obiettivo: “In questo libro analizzerò il concetto del vantaggio competitivo sostenibile e sosterrò che i dirigenti devono smettere di usarlo come fondamento delle loro strategie. Al suo posto offrirò una prospettiva strategica fondata sul concetto del vantaggio competitivo transitorio: per vincere in contesti volatili e incerti, i dirigenti devono imparare a sfruttare in modo rapido e deciso opportunità di breve durata. Sosterrò che le strutture e i sistemi profondamente radicati su cui fanno affidamento i manager per estrarre il massimo valore da un vantaggio competitivo rappresentano una passività – obsoleta e persino pericolosa – in un ambiente competitivo in rapida evoluzione. Questo, almeno, sembra chiaro a tutti. Ma allora perché la prassi strategica di fondo non è cambiata? La maggior parte dei dirigenti, anche quando si rende conto che i vantaggi competitivi sono qualcosa di effimero, continua a utilizzare approcci e strumenti strategici pensati per ottenere un vantaggio competitivo sostenibile, non per sfruttare rapidamente i vantaggi e passare da un vantaggio all’altro. Il libro che avete tra le mani affronta questo problema. Offre un nuovo insieme di prassi basato sul concetto del vantaggio competitivo transitorio, non sostenibile. Con questo libro, avrete a disposizione un nuovo manuale di strategia, basato su un nuovo insieme di ipotesi su come funziona il mondo: e scoprirete che alcune delle aziende di maggior successo al mondo utilizzano questo nuovo manuale per competere e vincere in un contesto di vantaggi competitivi transitori.”

Personalmente sono molto d’accordo con quanto sostiene Rita McGrath anche perché i numeri parlano chiaro: i vantaggi competitivi sono davvero diventati transitori. Detto questo, ritengo anche che spingere troppo l’acceleratore sulla transitorietà potrebbe generare comportamenti controproducenti nel breve periodo, soprattutto se a farlo fossero PMI e ditte artigiane che si trovano nella fase di costruzione di una loro identità. Rita McGrath nel suo lavoro ha considerato aziende con una capitalizzazione di borsa da un miliardo di dollari. Dimensione molto lontana dalla maggioranza delle nostre imprese.  Questo non significa che un tale manuale non possa essere applicato dalle nostre PMI!  Anzi, sarebbe auspicabile che tutte quante lo utilizzassero!  Tuttavia, dal mio punto di vista, molte delle nostre imprese scontano un gap di ritardo culturale rispetto al contesto competitivo che stiamo vivendo. Ritardo che coinvolge sia imprenditori che collaboratori. Dico questo, perché applicare il manuale strategico proposto da Rita McGrath significa cambiare completamente la visione del fare impresa. Noi tutti sappiamo che la Vision dell’imprenditore è condizionata dalla sua cultura e da quanto sia diffuso il suo pensare all’interno della propria organizzazione.  Adottare, dunque, un paradigma strategico che valuti il vantaggio competitivo come qualcosa di transitorio, senza passare attraverso una valutazione del livello culturale dell’imprenditore e della sua organizzazione, può essere molto pericoloso. Occorre in primis partire da qui: con la realizzazione di un progetto di crescita culturale in modo che l’organizzazione sia in grado di accogliere un nuovo paradigma strategico. Ad ogni modo, indipendentemente, dal percorso che si sceglierà, una piccola impresa non può, oggi, non inserire l’elemento dei vantaggi competitivi transitori nell’analisi strategica e nelle valutazioni andamentali; pena l’uscita stessa dal mercato.

 

Nel prossimo articolo entreremo maggiormente nel merito di questi aspetti. La figura 2 rappresenta una bella metafora degli argomenti che affronteremo. In sintesi, occorre pensare al vantaggio competitivo come fa un surfista con l’onda che intende cavalcare: ricercare sempre la migliore con la consapevolezza che, durante il suo surfare verso riva, dovrà, necessariamente, cercarne sempre di nuove se vuole raggiungere la destinazione in piedi.

Fig. 2 Metafora del Vantaggio Competitivo transitorio


Nessun commento:

Posta un commento

E tu cosa ne pensi?