domenica 17 gennaio 2021

Riabilitare la cultura del dato in quattro mosse

 di Pierluigi Venturi


Nell’ultimo articolo del 15 Novembre 2020 c’eravamo lasciati con l’impegno di continuare a discutere di Cultura del dato. In particolare, mi ero impegnato ad indicare alcuni rimedi per riabilitare o inserire, all’interno di un’impresa, una cultura orientata al dato, laddove fosse assente.

Per avere un engagement positivo di tutti gli attori aziendali, occorre utilizzare metriche che facciano discutere. Può sembrare un’affermazione lapalissiana, ma per molti non lo è.  Del resto la cultura nasce proprio dallo studio, dalla sperimentazione, dal ragionamento, dal confronto e dalla discussione su un determinato argomento. Indicatori che non fanno discutere portano un modesto risultato in termini culturali.  Possono far parte del bagaglio di conoscenze e di competenze personali dei singoli, ma per trasformarsi in risorsa aziendale devono essere condivisi e produrre discussioni. 


Come sempre, ogni caso è un caso a sé ma il questionario sulla cultura del dato proposto nel precedente articolo è un buon punto di partenza. A mio parere, è sempre opportuno partire dalla prima domanda del questionario che vale la pena ripetere qui di seguito: Hai consapevolezza di come impieghi il tuo tempo? Sapresti fornire una prova per singola attività in 5 minuti? In realtà le domande sono due. Infatti, chiedere una prova della propria organizzazione non significa una mancanza di fiducia nei confronti dell’intervistato, ma serve a misurarne la consapevolezza. Se non utilizza un sistema di monitoraggio delle proprie attività, evidentemente, il suo livello di consapevolezza si basa sulla percezione e non su dei dati.

Nelle mie esperienze personali di manager prima e di imprenditore poi, chiedevo saltuariamente ai miei collaboratori di fare un'analisi su come spendessero il loro tempo, descrivendo ogni singola attività giornaliera con il peso in termini di minuti ed ore, le attività settimanali, le scadenze mensili e anche quelle ricorrenti nell’anno. Pretendevo che lo mettessero su Excel e ci ragionassero per almeno 7 giorni.  Al termine della loro riflessione volevo che il file mi venisse consegnato, per una mia valutazione. Successivamente procedevo con un confronto individuale che potesse stabilire un percorso al fine di rendere più efficiente ed efficace la quotidianità. Nei casi più complessi ed articolati, dopo gli incontri individuali, facevo seguire un breve incontro per risignificare i processi all’interno del team.

Prima mossa. Il tempo è la risorsa per antonomasia che deve essere costantemente misurata, perché non solo è scarsa e si presta ad usi alternativi, ma non è possibile immagazzinarla ed è facilmente deperibile. Quello che non possiamo fare oggi, non lo potremo recuperare domani. Per farlo dovremo, semplicemente, rinunciare a ciò che avremmo potuto fare domani o impiegare un collaboratore al nostro posto. Avere la consapevolezza di come ogni componente del sistema azienda spenda il proprio tempo è il primo passo di qualsiasi percorso di efficientamento e/o di programmazione e riorganizzazione aziendale. Il fine è sempre quello di portare maggiore valore all’azienda e quindi stabilire il classico 20% delle attività che portano l’80% dei risultati. Da qui inizia il ragionamento su come migliorare le performance relativamente al tempo impiegato per svolgere il 20% delle attività, ma anche e, soprattutto, per il restante 80% che, evidentemente, si presta a diverse interpretazioni. In sostanza è da qui che comincia la riabilitazione alla cultura del dato (cfr. Figura 1). Occorre ragionare sulle piccole porzioni di attività che producono effetti positivi anche su quegli aspetti cognitivi come la consapevolezza e la focalizzazione, così importanti per un percorso di crescita in generale e così fondamentali in un piano riabilitativo della cultura del dato.
Figura 1 - Principio di Pareto modificato nella gestione del tempo



Una volta iniziato il percorso di autovalutazione, solitamente le persone più propositive cercano di analizzare tutti i dettagli e facilmente si renderanno conto di quanto sia importante andare oltre il 20% di attività che producono l’80% del risultato e verificare quanto effettivamente le restanti attività portino in termine di valore. In definitiva occorre stabilire quelle attività che sono classificabili come mere perdite di tempo e portatrici di nessun risultato.  In figura 1 ho ipotizzato che anch’esse rappresentino un 20% delle attività totali. Durante il percorso di autovalutazione nella gestione del tempo, quindi, si possono individuare sia le attività più importanti che portano maggiore valore, sia quelle che possono/devono essere eliminate. Utilizzare il 20% del tempo che prima era impegnato a fare cose inutili, a pensare come migliorare il processo produttivo o qualsiasi altro aspetto del sistema impresa, è un buon modo per riabilitare la cultura del dato e la crescita dell’impresa in generale.

La seconda mossa da fare per riabilitare la cultura del dato, dopo la presa di coscienza di come viene impiegato il tempo singolarmente, è quello di procedere con la programmazione delle attività. L’obiettivo è quello di stimolare tutti gli operatori a formulare stime ed affinare ulteriormente la loro consapevolezza su come impiegano il proprio tempo. Solitamente i settori aziendali più ostici al “gioco delle stime” sono gli uffici tecnici e quelli creativi dove il risultato dipende da una serie di fattori e il tempo è solo uno degli aspetti che entrano in gioco. Quando si fa una programmazione che parte dalle stime dei singoli si va a toccare un aspetto facente parte degli habitus mentali delle persone che operano all’interno di un’impresa: l’assunzione di responsabilità. Occorre che l’imprenditore/leader sia consapevole che per ottenere un risultato in termini di programmazione, aspetto fondamentale per ogni altra attività aziendale, dovrà fare i conti prima di ogni altra cosa (prima ancora dell’utilizzo dello strumento gestionale) con la capacità di assumersi delle responsabilità da parte dei singoli. Potrà incontrare persone superficiali che faranno stime completamente sballate; altre che non ci dormiranno la notte per fornire dati credibili ed altre ancora che cercheranno di sfuggire dal gioco delle stime e quindi dall’assunzione di responsabilità. In ogni caso è solo attraverso un programma che può iniziare il confronto sulla strada da percorrere per il miglioramento. È l’unica possibilità di affrontare la discussione in modo oggettivo, lasciando le vicende dei singoli a margine della stessa discussione. 
Per coloro i quali si siano impegnati nel “gioco delle stime” ci sono serie possibilità che all’inizio si vada incontro a delle sonore delusioni. Per molti sarà motivo di stimolo ma per altri solo il pretesto per trovare giustificazioni di non continuare a fare stime e, quindi a non assumersi delle responsabilità.

La terza mossa decisiva per la riabilitazione della cultura del dato è il monitoraggio del programma e “l’individuazione dei famosi indicatori/indici che fanno discutere”. Siamo nella fase già evidenziata, anche nel precedente articolo, che per aumentare la cultura del dato in un’azienda occorre procedere per gradi e non sempre il numero degli indicatori/indici utilizzati è sintomo di diffusione della stessa. La cultura del dato presuppone un approccio diffuso in azienda. Ogni settore, oltre agli indicatori di monitoraggio condivisi, ne avrà di più specifici che utilizzerà al proprio interno. Ogni caso è un caso a sé ma alcuni indicatori/indici non possono proprio mancare. Ad esempio: il fatturato per addetto realizzato in un determinato periodo,  il fatturato “spedito” giornalmente ( utile indicatore per un magazziniere) se si tratta di un’impresa di produzione, il semplice fatturato se si tratta di un’impresa commerciale; la consapevolezza della marginalità e del costo orario; quanti preventivi arrivano, quanti e in che tempi vengono convertiti in ordini; il valore e la qualità del magazzino; l’incidenza delle principali voci di costo del conto economico; e tanto altro. L’altro aspetto che certifica la diffusione del dato è il livello di discussione. Di seguito due esempi che simulano una discussione sui  motivi per i quali il ROE e il MOL diminuiscono (cfr. Figura 2 e Figura 3).

Fig. 2 Riflessioni sui motivi della diminuzione del ROE


Fig. 3 - Riflessioni sulle ragioni di variazione del MOL



Gli esempi di riflessione sopra riportati rappresentano il punto di partenza a cui dovranno seguire maggiori approfondimenti e azioni concrete per il miglioramento. Ad esempio un recupero della marginalità passa attraverso una molteplicità di azioni. La prima tra tutte è quella di ragionare sul margine mix. Comprendere la composizione delle vendite di un’impresa è un passaggio fondamentale per poter compiere azioni che incidano sul margine (cfr. Tabella 1). In tabella 2 ho riportato un’ipotetica azione di pilotaggio del margine agendo solamente sul mix delle quantità prodotte e non sugli altri elementi che possono incidere sul risultato (prezzi di acquisto, prezzi di vendita e quantità prodotte complessive e/o un mix di tutte le componenti insieme).

Tabella 1



Tabella 2

La discussione dei dati alimenta la cultura, tuttavia occorre comprendere anche le modalità della discussione e gli strumenti di gestione che vengono utilizzati. Vale a dire: esistono report giornalieri, settimanali, mensili in cui vengono valutati i dati? Inoltre, sono accompagnati da un regolare confronto all’interno del Team o solo se il workflow operativo lo consente? Le azioni che seguono sono decise in team, individualmente e/o devono attendere l’autorizzazione del responsabile?
Il Timing nel reperimento dei dati e la qualità degli stessi, in termini di affidabilità e di facile lettura, fanno tutta la differenza del mondo sia per l’efficacia delle azioni correttive che per stimolare la crescita della cultura del dato. In questo caso i gestionali e gli strumenti utilizzati sono fondamentali per ridurre i tempi della ricerca delle informazioni.

La quarta mossa per riabilitare la cultura del dato è rappresentata dallo stimolo alla sperimentazione al fine di prendere decisioni più consapevoli. Ho già detto, in un precedente articolo, quanto sia importante a livello di mindset strategico utilizzare la sperimentazione. Ora, se si vuole davvero riabilitare la cultura del dato occorre procedere con “lo sperimentare la sperimentazione”. Sembra un gioco di parole, ma non lo è! Si tratta di abbattere alcune resistenze psicologiche che fanno parte dei sintomi classici dell’Artigianite (patologia che colpisce ogni tipo d’impresa e di cui ne discuteremo in un prossimo articolo). Occorre, dunque, che l’imprenditore/leader si sforzi di sperimentare in prima persona e che stimoli all’interno della propria organizzazione un tale percorso.  Come? Facendo sperimentazione e aggiustando il tiro attraverso l’analisi degli errori!

È evidente che le quattro mosse rappresentino solamente l'inizio. 

domenica 10 gennaio 2021

Brefotrofio

 di Giovanni Pelosi

(Foto di Patrizia Renzoni)

La consegna dei neonati al conservatorio di San Michele, avveniva, come già detto, o attraverso la Ruota, che verrà soppressa il primo luglio del 1873, o direttamente, specie se provenivano dalle varie località fuori Fano, inviati da sindaci o parroci che segnalavano o meno l’avvenuto battesimo. Nel primo caso era il suono di una campanella che faceva accorrere subito la nutrice che disponeva di una camera vicino alla Ruota.

A sua disposizione, tra gli altri minuti oggetti, aveva un caldaro con catena, una graticola con treppiedi per preparare il cibo, un mastello con tavola per lavare, un pannicello bianco e uno rosa con una cuffia per il battesimo, una pila per l’acqua santa, otto coperte piccole di diversi colori, un letto e due sedie di sgarza. Tutt’altro che rari i casi in cui la balia si ritrovava tra le braccia neonati morti o in condizioni pietose: “poco distante da Porta Giulia fu ritrovata una creatura nata allora, involta in uno straccio, posta per terra  e pioveva dirottamente”, “verso le dieci pomeridiane si ritrovò un cestello fatto di vimini con un infante in pannolini laceri, con una cuffietta in testa guarnita di un merletto ordinario, un panno lacero di bavella per coperta, una lacera punta di fazzoletto rosa fiorato di bianco e sotto la testa un piccolo cuscinetto riempito con foglie di formentone”.


A volte i neonati portavano addosso tra i miseri stracci che li ricoprivano, vari segni di riconoscimento: medaglie, fedi di battesimo, parti di monete, immagini sacre, un rosario. 


 Il tutto lasciava intendere l’intenzione di un futuro riconoscimento da parte dei propri genitori. Non mancavano, comunque, episodi di volontà infanticida dal momento che diversi venivano lasciati anche in luoghi non particolarmente frequentati come i parapetti di muri e lungo la spiaggia.

Ad ogni esposto veniva mantenuto il nome se riportato al momento della consegna, diversamente anche il cognome si ricavava dal libro dei Santi, da quello dei Martiri (il “Martirologio”) o dal mondo vegetale, animale o minerale; da qui i vari Orti, Civetti, Cetrioli, Pratri, Volpi, Porfidi… Dopo un breve periodo di allattamento i neonati venivano affidati a nutrici esterne che venivano scelte dopo una breve visita per la loro giovane età, per qualità e quantità di latte. Ben volentieri esse si prestavano a tale compito perché ricevevano non solo un buon numero di pannolini di lino e canapa secondo le varie stagioni, il vestiario, i medicinali in caso di malattia, ma anche un contributo bimestrale in denari e diversi in natura.

Ai primi dell’800 vengono registrate 81 balie; tutte risiedevano nelle campagne in prossimità di Fano, ma non solo. IL numero più consistente si trovava nelle seguenti località: Rosciano 12, Cartoceto 12, San Cesareo 11, Ferretto 11, San Costanzo 10, Bellocchi 8, Mondavio 1, Novilara 1.

Gli esposti rimanevano presso le loro balie fino al settimo anno di età, poi venivano dati in adozione a loro stesse o ad altre famiglie ricevendo tutte un contributo in danaro. Le femmine rimanevano fino al loro matrimonio, i maschi fino al 16^ anno; dopo non erano più sotto la tutela del Conservatorio.

Differenti destini

Piuttosto frequentemente, i maschi adottati in campagna, vi rimanevano come garzoni, venivano addestrati nei vari lavori colonici consentendo ai mezzadri di poter contare su una forza lavoro che, anche se giovane, doveva adeguarsi alle loro condizioni di vita,. Meno consistente era il numero di quelli che venivano adottati in città per essere avviati ad imparare un mestiere quale il sarto, il falegname, il fabbro; a volte però, considerato che non percepivano alcun compenso, andavano ad ingrossare le file dei vagabondi imparando “le arti più infami in danno della loro anima perdendosi nei maggiori vizi”.

Le esposte godevano, invece, di una maggiore cura; quelle che non potevano essere collocate in campagna o in città per problemi di salute, rimanevano al Conservatorio di San Michele, si occupavano di servizi interni, venivano avviate alla lettura e alla scrittura e due volte alla settimana si recavano presso l’orfanotrofio femminile a tale scopo. Potevano comunque rimanere nel brefotrofio vita natural durante a meno che non si scegliesse la via del monastero o quella del matrimonio che poi costituiva la meta finale per il tipo di educazione ricevuta. Per le esposte, il lavoro non costituiva necessariamente un passaggio obbligato per l’inserimento sociale; se adottate in città diventavano serve e impiegate nei lavori più umili e, se presso le famiglie contadine, oltre ai lavori in casa, venivano mandate nei campi. Non doveva essere facile per queste fanciulle, abituarsi fin dalla più tenera età a condurre tale vita, per cui diverse vi rinunceranno ritornando al Conservatorio, altre passeranno da un padrone all’altro. Non mancano casi di resistenza ad adattarsi a tale sorte: Balda, per la quarta volta, verrà consegnata all’originaria famiglia di Mombaroccio e a lei verrà richiesta “soggezione, obbedienza e l’obbligo di adempiere ai suoi doveri se non voleva essere mortificata”; la stessa preferirà tornarsene nel brefotrofio e lì vi morirà.  Anche la condizione di serva in città, non sempre le poneva in una posizione privilegiata; verranno nel corso dei tempi segnalati vari casi di vero e proprio sfruttamento, diverse non percepivano salario, non sempre erano fornite di vestiario adeguato o di sufficiente cibo. Era, in verità, previsto un atto scritturale che impegnava le famiglie che chiedevano le esposte, a servirsi della loro casa o dare un sufficiente salario, fornirle di quanto poteva servire per i loro bisogni e trattarle con il dovuto rispetto. Quando poi il conservatorio procedeva ad una verifica, il quadro che si presentava non era sempre dei migliori; ecco alcuni racconti: l’esposta Bartolomea “sono stata con il signor Lanci 9 mesi e credo dover aver non so più quanto”; Francesca “sono stata con una donna Fenice Brizia e quando me ne partii restò a dare quindici giorni e ne ho avuti dieci”; Margarita “sono stata con il signor Flaminio Gisberti otto mesi e me comprò un panigello di bambagia con doi para di scarpe e non ho avuto altro, con il signor Averardo Lanci doi anni et ho avuto ora una cosa ora un’altra e non credo essere soddisfatta”

domenica 27 dicembre 2020

Natale 2020

 

       di Oriana Ambrosini                                                                                          

Caro Babbo Natale,

ti scrivo anche io una letterina con tutta la fiducia e la speranza di un cuore puro di bambino. Già questo Virus mi ha stufato, dopo aver pregato tutti i Santi, il Padreterno, consultato maghi, maghelle e le stelle non so più che fare.

Vignetta tratta dalla pag. dell'umorista F. Palmaroli

 

Non sarà una lista lunga, no no! Vorrei una sola cosa: portami un DPCM naturale. Portami una nevicata di almeno mezzo metro con accessori di freddo e gelo in modo che le persone di questo Paese non abbiano possibilità di uscita almeno fino al giorno dell’Epifania che, Sant’Iddio, tutte le feste porta via!

Caro Babbo Natale, sei proprio la mia ultima speranza!

                Il tuo disgraziato Giuseppe Conte 

P.S. Non c’è neanche bisogno di passare per il camino!



sabato 12 dicembre 2020

Applicazioni del Sistema del Margine di Contribuzione

di Luciano Giambartolomei 

Il sistema del margine di contribuzione

Questo sistema, come detto nel precedente articolo, è un vero modello economico aziendale perché tiene simultaneamente conto:

   DI DOVE si formano i costi (in quale reparto?)

DI DI COME si formano i costi (sono variabili? Sono fissi?)

Il sistema del margine di contribuzione introduce la discriminazione fra costi variabili e costi fissi.

 Il sistema del margine di contribuzione suddivide i costi in tre gruppi:

·       Costi variabili

·       Costi fissi di reparto

·       Costi fissi aziendali

                       

Costi variabili

Sono costi che variano al variare del volume di produzione, ma in questo caso va sottolineata soprattutto la loro caratteristica di essere dei costi associati al prodotto e non alla struttura. Fanno parte dei costi variabili i seguenti:

          Manodopera diretta                                                  € 1.800.000

          Materiali di consumo                                                    120.000

          Forza motrice                                                              120.000

          Interessi passivi su crediti a clienti                                 190.000

          ………………………………………                                  …………

Costi variabili                                                         € 2.230.000

Questi costi sono quelli che l’azienda sostiene solo se produce, chiaro essendo che se non si produce:

- non utilizza manodopera diretta;

- non utilizza materiali di consumo;

- non consuma forza motrice;

- non ha bisogno di concedere credito alla clientela che acquista i suoi prodotti e quindi non sostiene costi relativi ad interessi passivi pagati alle banche che anticipano il controvalore delle fatture emesse.

 

Costi fissi di reparto

Sono costi che restano costanti al variare del volume di produzione, ma che sono imputabili direttamente e con chiarezza ai reparti in cui sorgono.

Fanno parte dei costi fissi di reparto i seguenti:

- Manodopera indiretta                                                           270.000

- Impiegati tecnici                                                                   110.000

- Ammortamento fabbricato                                                      60.000

- Ammortamento macchine                                                      500.000

- Interessi passivi su mutuo                                                     800.000

- Illuminazione, riscaldamento                                                  120.000

- ………………………………..                                                  …………

Costi fissi di reparto                                                           1.860.000                    

Questi costi sono tipici costi di struttura; ma sono costi di cui si avvarranno soltanto esclusivamente i prodotti che subiranno lavorazioni e trasformazioni negli specifici reparti.

In altri termini:

- In quanto costi fissi, dipendono da decisioni prese in passato per cui non sono influenzabili dalle decisioni attuali dell’imprenditore.

- In quanto imputabili ad uno specifico reparto, è necessario tenerne conto solamente per i prodotti che, essendo lavorati nel relativo reparto, ne usufruiscono.

(Non è lecito gravare di tali costi i prodotti che, non subendo alcuna lavorazione nel reparto, non hanno assolutamente usufruito della manodopera indiretta, degli impiegati, delle macchine, … del reparto stesso).

Costi fissi aziendali

Sono costi che restano costanti al variare del volume di produzione e che non sono imputabili a nessuno specifico reparto in quanto sostenuti in comune per l’intera gamma delle attività aziendali.

Di essi è impossibile valutare con precisione il contributo apportato alla fabbricazione di ciascun singolo prodotto.

Fanno parte dei costi fissi aziendali i seguenti:

- Impiegati amministrativi e commerciali                                 150.000

- Postali, telefoniche, cancelleria                                              50.000

- Viaggi e rappresentanza                                                       60.000

- Pubblicità e fiere                                                                  150.000

- ……………………………………….                                         ………..

Costi fissi aziendali                                                               410.000

Questi costi sono tipici costi di struttura; ma non basta. Essi sono di natura tale che non è possibile individuare nessun metodo per imputarli ad uno specifico reparto in quando sono sostenuti in comune, a vantaggio dell’intera attività aziendale e della relativa immagine.

Ai suddetti costi bisogna aggiungere la quota di costi variabili e di costi fissi di reparto precedentemente imputati al Reparto Indiretto (vedi ultima colonna della tabella allegata).

Tabella 1

La tabella 01 dà le incidenze di ciascuna voce di costo su ogni ora diretta lavorata nei quattro reparti diretti (centri di costo) in cui è stata suddivisa l’azienda presa ad esempio.

Consideriamo, ad esempio, il centro di costo Preparazione.

Un prodotto che venga lavorato per 1 ora in questo centro di costo (reparto):

- dà luogo ad un costo orario di € 18,40 per l’uso della manodopera diretta, di materiali di consumo, di forza motrice, di interessi passivi di funzionamento;

- deve assorbire un costo orario di € 7,42 per costi fissi di reparto sostenuti dall’azienda per dare una struttura efficiente al reparto dotandolo di manodopera indiretta, di impiegati tecnici, di macchine, ecc.;

- deve assorbire un costo orario di € 3,93 per costi fissi sostenuti dall’azienda per darsi una struttura amministrativa, commerciale e di immagine.

In totale, a livello di singolo centro di costo, avremo le seguenti incidenze orarie:

Tabella 2

Possiamo notare immediatamente che:

·       Le variazioni dell’incidenza oraria dei costi variabili sono poco rilevanti (da € 17,55 a € 19,41).
L’appiattimento retributivo conseguente alle tendenze sindacali degli ultimi anni ha ridotto le differenze salariali fra operai di elevata qualificazione ed operai comuni.
·       Le variazioni dell’incidenza oraria dei costi fissi sono molto pronunciate (da € 5,47 a € 30,41).
Lo sviluppo dell’incidenza oraria dei costi fissi di reparto e gli elevati tassi bancari sui mutui hanno fortemente differenziato i costi dei reparti tecnologicamente più avanzati rispetto a quelli dei reparti che non hanno usufruito di processi innovativi.
·       I costi fissi aziendali danno luogo ad incidenze orari uguali nei quattro reparti in quanto sono stati imputati usando come base di imputazione proprio il numero di ore dirette.
 

Scheda di costo del sistema del margine di contribuzione

La scheda di costo (tabella 03) che verrà presentata in questo paragrafo ridisegna il sistema dei centri di costo sviluppandolo secondo l’ottica del sistema del margine di contribuzione.


Tabella 3 del Prodotto A



  •  La sezione superiore è dedicata al costo delle materie prime  

  • La seconda sezione è dedicata al costo delle lavorazioni esterne, quando ci sono, viene       riportato il valore in assoluto.

  •  La terza parte è dedicata al costo della manodopera diretta, sia a costo variabile, sia a       costo fisso di reparto, sia a costo fisso di struttura.

Essa partendo dai tempi di lavorazione necessari ad effettuare le fasi previste dal ciclo, attribuisce a ciascun centro di costo:

  • Il costo fisso di reparto relativo ad una unità di prodotto. 

Tale costo comprende il costo della manodopera diretta, il costo dei materiali di consumo, il costo della forza motrice, il costo degli interessi passivi di funzionamento, e le lavorazioni esterne dove sono previste.

  •  Il costo fisso aziendale relativo ad una unità di prodotto. 

Tale costo comprende opportune quote del costo della manodopera indiretta, del costo degli impiegati tecnici, dell’ammortamento del fabbricato e delle macchine, ecc. che hanno contribuito a produrre una unità del prodotto considerato.

  •  Il costo variabile o costo diretto di una unità di prodotto.


Tale comprende una quota dei costi sostenuti in comune per la fabbricazione di tutti i prodotti dell’azienda: impiegati amministrativi e commerciali, spese postali, telefoniche e di cancelleria, spese per viaggi e di rappresentanza, ecc.


Nel caso della tabella 03 del prodotto A
                    Costo materie prime                                       € 1.025
                    Costo lavorazione esterna                              €    115
                    Costi variabili della manodopera diretta           €     336
                    Costi fissi di reparto                                        €     253
                    Costi fissi aziendali                                         €       72
                    Totale costo a pareggio                               €   1.801
 


Significato operativo del costo variabile
Poiché il costo delle materie prime, il costo della lavorazione esterna, il costo della manodopera diretta sono tutti costi variabili, possiamo raggrupparli.
 Perciò avremo:
                    Costo materie prime                                       € 1.025
                    Costo lavorazione esterna                              €    115
                    Costi variabili della manodopera diretta           €     336
                    Costo variabile o diretto del prodotto A       €   1.486
Il significato del costo variabile o diretto è il seguente:
·  Se produco 1 unità del prodotto A
Sostengo un costo di materie
Prime, manodopera diretta e
Spese generali variabili pari a €                      1 x 1.486 = 1.486 
·  Se produco 2 unità del prodotto A
Sostengo un costo di materie
Prime, manodopera diretta e
Spese generali variabili pari a €                      2 x 1.486 = 2.972
·     …………………………………..
·     …………………………………..
·    Se produco 1.000 unità del prodotto A
Sostengo un costo di materie
Prime, manodopera diretta e
Spese generali variabili pari a €            1.000 x 1.486 = 1.486.000
 

Ciò significa che l’entità del costo variabile è perfettamente nota, quale che sia il volume di produzione raggiunto dall’azienda.
In altri termini, per quanto riguarda i costi variabili del prodotto esaminato, la prima unità, la seconda unità, la millesima unità, e l’ultima unità prodotta costano tutte € 1.486
 

Significato operativo del costo fisso
Poiché il costo fisso di reparto e il costo fisso aziendale sono entrambi dei costi fissi, possiamo raggrupparli.
                                       Costo fisso di reparto                           € 253
                                       Costo fisso aziendale                            €   72
                                       Totale costi fissi                                 € 325

Questi costi sono stati ricavati sulla base dei costi orari dei quattro centri di costo i cui elementi economico/contabili sono riportati nella tabella 01. 

Ma questi costi orari sono esatti solo se:
·       Nel centro di costo preparazione si lavorano                      12.800 ore dirette/anno
·       Nel centro di costo officina si lavorano                               28.800 ore dirette/anno
·       Nel centro di costo lavorazioni speciali si lavorano            30.400 ore dirette/anno
·       Nel reparto montaggio si lavorano                                     48.000 ore dirette/anno

E’ infatti evidente che se le ore dirette lavorate in un anno superano quelle previste, i costi fissi si ripartiscono su un numero maggiore di ore dando luogo ad una incidenza oraria minore.
Ed è altrettanto evidente che se le ore dirette lavorate in un anno sono inferiori a quelle previste, i costi fissi si ripartiscono su un numero minore di ore dando luogo ad una incidenza oraria superiore.
Ne deriva che il significato del costo fisso che figura nella tabella 03 di costo del prodotto è più limitato di quello attribuibile al costo variabile.
In altri termini una unità del prodotto tabella 03 dà luogo a costi fissi pari a € 325 solo se l’esercizio considerato ogni centro di costo lavorerà esattamente le ore che sono state previste.
Ora avviene che quando si fa il preventivo di costo di un dato prodotto e si fanno le previsioni che fungono da supporto alla stesura della tabella 01, nessuno è in grado di sapere quale sarà il volume di produzione che caratterizzerà i singoli centri di costo dell’azienda nell’esercizio in corso.
Perciò i soli elementi noti di cui si dispone quando si deve fare il preventivo di costo del prodotto, sono:
·       Il costo variabile del prodotto
·       Il prezzo di vendita del prodotto
L’incidenza del costo fisso su ogni unità del prodotto, invece fabbricate nell’anno., potrà sapersi solo alla fine dell’esercizio, quando si conoscerà con precisione il numero di ore dirette lavorate nell’anno nei vari centri di costo e il numero di unità del prodotto fabbricate nell’anno.
 

La determinazione del margine di contribuzione
Un esempio chiarirà quanto detto.
La scheda di costo della tabella 03 del prodotto A fu attivata dall’inizio dell’esempio.
Sul mercato esisteva già un prodotto simile offerto dalla concorrenza, pertanto fu deciso di porre in vendita il prodotto al prezzo di € 1.950 per essere competitivi sul mercato.
(Tale prezzo dovrà poi aumentarsi per tenere conto delle provvigioni pagate ai rappresentanti, che sono diverse da mercato a mercato, tali provvigioni, ad esempio, potrebbero essere pari a 8% in Italia, al 12% in Francia, al 15% in Germania)
Avremo, pertanto:
                         Prezzo (escluse le provvigioni)                    1.950 €
                        Costo variabile                                           1.476 €
                        Margine di contribuzione                              474 €
Il significato operativo della suddetta relazione è questo:
·       Ogni volta che l’azienda produce una unità del prodotto A sostiene dei costi specifici per l’acquisto delle materie prime, per il pagamento delle retribuzioni della manodopera diretta, per il pagamento dei consumi di forza motrice, ecc.
Questi costi ammontano a 1.476 € e sono stati sostenuti proprio per produrre la suddetta unità del prodotto A.
·     Ogni qual volta che l’azienda vende una unità del prodotto A consegue un ricavo do 1.950 €.

Possiamo suddividere tale ricavo in due parti:
·       1.476 € vanno a coprire il costo variabile specificamente sostenuto per produrre una unità del prodotto;
·       474 € vengono utilizzate per coprire i costi fissi e dar luogo alla formazione dell’utile.
A questa parte del ricavo si dà il nome di margine di contribuzione (o reddito marginale o contributo al profitto).
Se siete interessati a condividere dei vostri quesiti in merito, scrivete le vostre richieste per ricevere gratuitamente informazioni.
 Se interessati potrete trovare i file in excel della tabella 01 e della tabella 03 semplicemente cliccando QUI



domenica 6 dicembre 2020

Ricetta Pizza Imbutita. (Dolce molto in uso nei pranzi ufficiali del nostro entroterra)

 di Carla Rigattieri


Preparare:

-  una pizza (torta) margherita alta e soffice 

- crema pasticcera classica

- alchermes Q.B.

- succo di limone e arancio Q.B.

- Zucchero a velo Q.B.

Dividere la Pizza in tre strati: Base, centro e cappello.

Disporre la base su un vassoio, bagnarla molto bene con alchermes,  succo di limone e arancio. Stendere sopra un abbondante strato di crema.

Adagiate poi sopra lo strato centrale e ripetere l'operazione con alchermes, succo di limone e arancio con tanto di crema.

Coprire tutto con il cappello e bagnarlo da sopra,

 sempre con alchermes, succo di limone  e  arancio. 

Carla Rigattieri

Una spolvetatina di zucchero a velo, lasciate riposare

 un paio di ore per far amalgamare gli ingredienti e potete servire. 

Una variante consigliata è la sostituzione del succo 

di limone e arancio con abbondante caffè.


A grande richiesta pubblichiamo anche la ricetta della Pizza Margherita e della Crema

Pizza (Pasta) Margherita:


6 uova 
300 grammi zucchero 
150 grammi fecola 
150 grammi  farina 
1 bustina di lievito per dolci 
Limone  
Anice  
In forno statico accendere  solo sotto  a 160°
Procedimento:
Sbattere  i rossi  con lo zucchero, unire  limone e anice, e,  mescolando insieme,  la  farina, la fecola e la bustina di lievito.  A parte,  montare gli  albumi e unire con delicatezza al composto.  Infornare a forno caldo a 160°

Per la Crema:
1 litro  di latte 
130 grammi farina 
250 grammi zucchero 
1 bustina vanillina 
8 tuorli d'uovo 
la scorza di un limone

Procedimento:
 
Portare il latte ad ebollizione con la scorza  del limone 
In  un altro recipiente mescolare gli 8 tuorli con  lo zucchero aiutandosi con una frusta. Aggiungere  la farina e la  vanillina. 
Quando  il  latte sarà pronto, unirlo al composto poco alla volta, continuando a mescolare con la frusta, portare nuovamente ad ebollizione senza mai smettere di amalgamare.   
A questo punto togliere dal fuoco e lasciare raffreddare la crema  mescolando  ancora per un po'.

domenica 22 novembre 2020

Orecchiette con Sugo di Broccoli

di Lele Roberti


Ricetta per 4 persone

  • g 400 orecchiette fresche
  • g 400 broccoli
  • g 40 burro
  • g 20 farina

  • 1/4 latte
  • n 1 acciuga
  • n 1 spicchio d'aglio
  • n 1 rametto di rosmarino
  • Parmigiano
Mettere in una padella il burro con un goccio di olio evo, l'acciuga, l'aglio, il rosmarino. Quando l'acciuga è sciolta e l'aglio è biondo, togliere il tutto, compreso il rosmarino. 
Aggiungere i  broccoli puliti e lavati e farli ammosciare. Aggiungere poco sale, peperoncino, poi aggiungere il latte, la farina e far bollire fin quando il composto non sarà ritirato al punto giusto per condire la pasta. 
Aggiungere formaggio grattugiato.  
Scolare le orecchiette e condire la pasta. 



mercoledì 18 novembre 2020

Nati e Abbandonati

 di Giovanni Pelosi

foto di Patrizia Renzoni

Il Prof. Giovanni Pelosi

Fu il mio primo anno di presidenza a Tavullia, dopo il trasferimento dalla Valcamonica, che conobbi una gentile e timida signorina: era la segretaria di quella piccola scuola media. Nel presentarci mi disse che si chiamava Esposta; rimasi un po’ interdetto, quel nome mi rimandò indietro nel tempo, ai sentieri non perduti della memoria, a quando mia madre un giorno mi disse che vicino alla nostra casa era arrivata una nuova famiglia e la signora si chiamava Esposta Germogli. Ripescato quel ricordo dissi alla non più giovane segretaria che il suo nome mi incuriosiva. Non poteva essere diversamente perché fin da adolescente ho sempre coltivato una particolare predilezione verso le parole in quanto luogo di pensiero, costruzione di mondi, incontri con l’universo, specie quelle che come un rompighiaccio spezzano il gelo dentro di noi, prendono alla gola, hanno a che fare con i sentimenti, si trasformano in poesia, in pensieri alati. Parole, pensieri che mi erano dolci come il miele per usare una espressione del profeta Ezechiele quando il Signore gli ordinò di mangiare un rotolo. Fu così che sotto la spinta di quella che i nostri padri latini chiamavano “curiositas”, presto comperai un piccolo quaderno diventato poi una rubrica che tutt’ora, malridotta e quasi lacera, conservo e vado a sfogliare e integrare con nuovi termini come “Resilienza, Sanificare, Entropia…”, ma non vi ho riportato quelli propri dei nostri giorni per far fronte al mortale Covid-19 “Recovery fund, Longform, Lockdown” che mi spaventano e, tra l’altro, hanno un suono sgradevole. Mantengono, invece, per me una grande attrazione ancora oggi termini, parole, concetti di carattere più spiccatamente sociale e politico come “Giustizia, Libertà, Pace, Tolleranza…” che hanno indirizzato il mio e il percorso di vita di molte persone. Hanno in sé una loro perenne attualità, una carica ideale ed etica che richiedono un nostro coinvolgimento e sono riassumibili in una piccola, solitaria, ma affascinante parola che è Utopia. Pur nella affievolita, ma non spenta convinzione di una sua realizzabilità, condivido il pensiero dello scrittore Eduardo Galeano: “Lei sta all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai; quindi a che serve l’utopia? Serve a questo: a camminare.”

Dopo questa deviazione, apparente deviazione, , perché ha sempre a che fare con ciò che ci colpisce, che esige una reazione, un agire di nuovo, un cercare di comprendere, è tempo di riprendere l’iniziale via da cui queste riflessioni sono nate.

Dopo i primi confusi e frenetici giorni per orientarmi in quella nuova realtà, dopo i piacevoli colloqui con i docenti e tutto il personale, dopo aver “familiarizzato” con gli alunni, specie quelli poco inclini allo studio o alla disciplina, un mattino la segretaria, nel porgermi dei documenti da firmare, con un abbozzo di sorriso e ringraziandomi per la mia gentilezza, mi disse che non aveva mai conosciuto chi fossero i suoi genitori , che era stata lasciata in fasce al San Salvatore finché a 11 anni venne affidata ad una famiglia di Pesaro. Mi incuriosii ancora di più e da letture e da ricerche mi resi conto che la storia di Esposta rientrava in una vicenda comune a tanti altri neonati: si trattava del fenomeno dell’abbandono dell’infanzia. Ripensai, a Romolo e Remo, a Mosè; conobbero anche loro questa pratica già diffusa tra i Romani e altri popoli e l’avvento del cristianesimo non la limitò interessato come era al fine creativo del matrimonio e chiese e monasteri offrirono luoghi fondamentalmente sicuri dove lasciare gli esposti, chiamati anche “putti, gittarelli, trovatelli, bastardelli”. Venivano abbandonati non solo nelle strutture religiose ma un po’ ovunque: davanti alle edicole, sui gradini di chiese , nelle osterie, negli incroci di strada  ma anche nelle campagne, davanti alle case o vicino al forno dei contadini. Generalmente erano lasciati in ore notturne per evitare il riconoscimento di chi li abbandonava. Da figure caritatevoli venivano consegnati al brefotrofio o consegnati direttamente attraverso la ruota: una struttura a forma cilindrica attraverso la quale avveniva il deposito.

Nella nostra provincia erano presenti il brefotrofio di Urbino (1265), di Cagli (1549), di Pesaro (1620), di Fossombrone (1720) e di Fano che viene fatto risalire più indietro di tutti: due atti del 997 riportano la presenza di una strada denominata “della Rota”. La sede definitiva sarà l’Ospizio di S. Michele (foto)

Ospizio di San Michele 

e sulla destra dell’Arco di Augusto una pietra contiene le scritte “Eleemosynis expositorum” (foto).


(Continua prossimamente con un'Altra Storia...)