domenica 18 ottobre 2020

La Cultura è l’asset più importante per un’impresa

di Pierluigi Venturi 

Il vocabolario Treccani definisce la cultura in questo modo: ”l’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio”. 


Se trasferiamo un tale significato nel quotidiano del fare impresa comprendiamo che la cultura della stessa non può essere considerata come semplice sommatoria delle culture dell’imprenditore e di tutti i soggetti che ruotano internamente ed esternamente all'impresa. Occorre, anche, considerare come la stessa cultura si arricchisca, quotidianamente, attraverso lo scambio delle esperienze dei singoli e delle attività condivise. Infatti per diventare un vero asset aziendale ha necessità di essere diffusa tra le persone che operano per e con l'impresa. Lo studio, la formazione, la sperimentazione, la valutazione degli errori, l’elaborazione e la rielaborazione dei progetti, l’innovazione, l’attenzione al cambiamento, l’utilizzo degli strumenti di gestione ed altro, sono attività che, se svolte in maniera efficace, rappresentano i driver della crescita culturale. L’ambiente esterno influenza notevolmente la cultura della singola impresa perché gli stimoli ad alzare l’asticella dipendono molto dal livello di competizione che deve affrontare, quanto sia condizionate la conoscenza delle nuove tecnologie presenti sul mercato, da come i gusti dei consumatori possano cambiare e, ancor più in generale, da come possano cambiare le relazioni che influenzano il suo quotidiano. 

 

Se analizziamo, dunque, la storia di qualsiasi azienda e proviamo ad individuare un significante che colleghi il suo passato con il presente ed il futuro della stessa, ci accorgiamo che il fare impresa in qualche modo si sostanzia nel tentativo di interpretare il cambiamento. Unica vera costante nel tempo di qualsiasi organizzazione, in quanto la stabilità rappresenta l’eccezione. Interpretare il cambiamento, tuttavia, non significa fare gli indovini, ma comprendere come i fondamentali che stanno alla base di qualsiasi impresa debbano essere costantemente risignificati ed adeguati alle mutazioni del contesto competitivo. Ogni imprenditore/manager dovrebbe comprendere che il tentativo di restare fermo mentre attorno a lui tutto si sta muovendo, non gli risparmierà le noie del cambiamento, ma probabilmente gli impedirà di ottenerne i relativi vantaggi. Smettere di studiare, di formarsi, di sperimentare, di ripensare alle strategie, di analizzare gli errori, di cercare nuovi vantaggi competitivi, in altre parole, smettere di arricchire la cultura della propria impresa e di adagiarsi alla routine, significa non solo perdere opportunità economiche, ma soprattutto accumulare un gap di ritardo rispetto al contesto competitivo. L’imprenditore/manager deve essere consapevole che, prima o poi, il mercato lo costringerà ad affrontare tale ritardo ed avere un bel conto in banca potrebbe non bastare per risolvere il problema.  Sappiamo come i soldi possano aiutare l’avvio di una crescita economica, rappresentano in molti casi il punto di partenza, ma se l’impresa non cresce dal punto di vista culturale, potrebbero non essere mai sufficienti. Anzi, in molti casi il problema nasce proprio dal gap che si crea tra la crescita economica e quella culturale. Un differenziale che potrebbe mettere l’impresa a rischio di permanenza sul mercato, se non colmato tempestivamente.

Per fare un esempio concreto di quanto sto dicendo, vi invito a riflettere sul dibattito relativo alla digital transformation che da diverso tempo trova spazio su giornali e in alcune trasmissioni televisive.  In molti evidenziano i ritardi del nostro Paese su questo tema e quanto l’investimento nelle nuove tecnologie sia un passaggio obbligato per recuperare tali ritardi. Tuttavia raramente si entra nel merito della questione che è molto più complessa da come viene solitamente rappresentata. A tal proposito vi segnalo una lettura: il report Istat 2019 che alla pagina 59 riporta la sintesi di uno studio dello stesso Ente statistico del 2015. Studio operato per comprendere le ragioni della cronica minore produttività delle nostre imprese rispetto a quelle di altri Paesi europei.

Il ragionamento relativo alla produttività ruota attorno a due concetti fondamentali: il capitale fisico ed il capitale umano.

Il capitale umano viene misurato a partire dai suoi due elementi portanti: il livello di istruzione (in termini di anni di studio) e la job tenure (in termini di anni di permanenza nell’impresa). La dotazione di capitale fisico di una impresa è invece misurata dal valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali per addetto.

Lo studio Istat sopra citato ha evidenziato, su imprese con almeno 10 dipendenti, un legame positivo tra capitale fisico, produttività e dimensioni aziendali. Questo aspetto non sorprende più di tanto, anche se i valori di produttività delle imprese con una maggiore intensità di capitale sono risultati quasi doppi rispetto alle imprese con un’intensità di capitale inferiore. Se invece si passa a considerare il capitale umano, i dati che sono emersi dallo stesso studio sono quasi imbarazzanti: il 77,6% delle imprese esaminate (quelle con almeno 10 dipendenti) possiede livelli bassi di capitale umano. La media del personale aveva appena terminato la scuola dell’obbligo e solo in parte raggiungeva un’anzianità aziendale vicina ai 10 anni, tale da compensare in qualche modo il minore livello di istruzione. La cosa era abbastanza omogenea su tutto il territorio nazionale: 75,9% per le imprese del Nord-Est contro il 79,9% di quelle meridionali. Inoltre, è abbastanza preoccupante il fatto che il fenomeno riguardi il 68,1% degli addetti che producono il 49,7% del valore aggiunto complessivo delle aziende con almeno 10 dipendenti e, allo stesso tempo, si estenda all’intero sistema produttivo, rappresentando circa un terzo del valore aggiunto e degli addetti.

Questi dati, al di là che possa non piacere l’espressione capitale umano, sono molto preoccupanti e dimostrano come il gap di produttività sia legato al ritardo culturale di molte imprese italiane. A rincarare la dose sulla questione ci sono anche le previsioni OCSE del maggio 2019, quindi non influenzate minimamente dal Covid-19 e non legate solo al nostro Paese, che prevedono, a livello dei 36 Paesi facenti parte dell’organizzazione, una difficoltà da parte delle PMI di attirare le competenze che servono per gestire questa benedetta digital Transformation. Competenze che sono scarse sul mercato e che preferiscono organizzazioni più Grandi e più strutturate (si veda l’articolo di Stefano Casini su INNOVATION POST).

Tradotto nel concreto significa che il nostro Paese avrà un percorso molto più difficile, indipendentemente dal Covid-19, verso la digital transformation e verso tutti i cambiamenti che la 4° rivoluzione industriale sta proponendo. Non sarà sufficiente inserire la nuova tecnologia per recuperare i ritardi accumulati; servirà un progetto complessivo! Infatti, i contributi economici che dovrebbero arrivare dall’Europa per favorire proprio la digital transformation e più in generale la ripresa economica a seguito dello shock causato dal Covid-19, potrebbero non essere sufficienti a far recuperare il gap di produttività delle nostre imprese, se non dovessero essere accompagnati da investimenti in termini culturali. Quest’ultimi investimenti dovranno essere operati dagli imprenditori/manager delle singole imprese, perché solo loro possono conoscere la base culturale della propria impresa. Inoltre, dovranno essere realizzati indipendentemente dall’arrivo di finanziamenti, altrimenti molte nostre imprese rischiano di uscire dal mercato. La mia preoccupazione nasce soprattutto dalla considerazione che, molto probabilmente, l’asticella della competizione globale si alzerà e sarà molto più focalizzata sulla ricerca di nuovi vantaggi competitivi rispetto a quanto molte imprese non stessero già facendo. Il Covid-19 sotto certo aspetti è già, ma lo sarà ancora di più in futuro, un acceleratore di alcuni processi. Evidentemente chi è impegnato a risolvere i nuovi problemi amplificati dalle vecchie abitudini perderà terreno.

Pierluigi Venturi


Che fare? Come si può recuperare il gap di ritardo culturale accumulato dalla maggioranza delle nostre PMI?  

Ne parleremo nei prossimi articoli, ma nel frattempo vi posso anticipare lo schema che ho intenzione di seguire:

1.    Non farò la lista della spesa delle cose che servirebbero da parte della Politica e delle diverse Istituzioni Nazionali o Europee. Mi limiterò ad invitare l’imprenditore/manager a sospendere la fase del lamento e a focalizzarsi sulle cose che servono alla sua impresa per farla crescere.

2.    Il percorso di crescita culturale non parte dalla formulazione di una nuova Strategia, in quanto quest’ultima è uno strumento di gestione condizionato dalla cultura dell’imprenditore. Ne segue che il percorso di crescita culturale parte dall’analisi del fare quotidiano che dovrà essere orientato a quegli elementi così ben descritti dalla definizione di cultura operata dal vocabolario Treccani, al fine di consentire una crescita dell’imprenditore e dei suoi collaboratori e quindi, raggiungere l’obiettivo di una nuova Strategia.

3.    La crescita culturale passa, a mio avviso, attraverso quattro “elementi”, strettamente collegati tra loro che, considero fondamentali, per elaborare una strategia aziendale capace di far fronte ai cambiamenti continui del contesto competitivo. I quattro elementi sono: la cultura del dato; il concetto di vantaggio competitivo; l’innovazione e la formazione continua. Tutto il resto è un di cui che può essere compreso all’interno di uno dei quattro elementi principali. Ovviamente la strategia non può essere considerata come semplice sommatoria dei quattro elementi sopra citati, in quanto presenta proprie peculiarità ma senza una crescita in termini culturali dei quattro “elementi” evidenziati non si ha la possibilità di formulare strategie più qualitative.

 

In definitiva, la cultura, per un'impresa, è l’asset più importante perché rappresenta l’investimento con il minor rischio di obsolescenza e se alimentata costantemente consente all’imprenditore e ai suoi collaboratori di interpretare meglio i cambiamenti che avvengono continuamente sul mercato. 

A me piace usare spesso l’espressione: “il futuro è già iniziato”. E’ un concetto su cui insisto molto perché ciò che farà qualsiasi imprenditore domani è figlio della sua Vision, di come abbia deciso di declinarla dal punto di vista strategico e tattico, ma, soprattutto, sarà il frutto di quanto sia diffusa nella sua azienda la cultura d’impresa che ha ispirato il suo pensare.



domenica 4 ottobre 2020

Costi Variabili e Costi Fissi

 

di Luciano Giambartolomei

Generalità sui costi


La parte più appariscente del processo produttivo consiste nella trasformazione delle materie prime in prodotti finiti.
Durante questa fase l’azienda sostiene costi tipicamente legati al prodotto: costi delle materie prime, costi della manodopera diretta operante alle macchine, costi relativi alla forza motrice, ecc. Questi costi sono dei costi variabili perché variano al variare del volume di produzione.
Ma prima ancora di iniziare la lavorazione di uno specifico prodotto l’azienda ha dovuto sostenere dei costi per darsi una adeguata struttura tecnica (macchine), organizzativa (dirigenti e quadri aziendali) e di sviluppo (mezzi promozionali, ricerche). Questi costi sono detti costi fissi perché restano costanti al variare del volume di produzione.
Giuliano Giambartolomei

La discriminazione fra costi variabili di prodotto e costi fissi di struttura si è rilevata come un potente strumento di analisi dei fatti aziendali perché consente di collocare i costi in un preciso quadro di riferimento permettendo l’attivazione di un attendibile modello economico dell’attività aziendale.
E dall’uso di questo modello derivano decisioni operative capaci di influire positivamente sulle politiche produttive e commerciali, sulla definizione di combinazioni ottimali dei fattori produttivi, sulla redditività del processo.
In particolare la conoscenza dei costi fissi permette di:
Esprimere il grado di elasticità dei costi aziendali nelle varie ipotesi di variazione dei volumi di produzione.
Stimolare gli organi decisionali ad assumere quelle scelte che siano capaci di saturare al massimo la struttura aziendale perché alla sua piena utilizzazione è legata l’economicità del processo produttivo.
     L’applicazione sempre più frequente di sistemi basati sulla distinzione fra costi variabili e costi fissi sta finalmente riducendo il ruolo devastante giocato dai sistemi che nell’illusorio tentativo di pervenire alla conoscenza del “costo complessivo” coprono di nebbia anche le poche informazioni contabili di cui gli imprenditori dispongono.
Prima di approfondire l’argomento presentiamo nella tabella sottostante le diversità che caratterizzano i costi variabili e i costi fissi.

Costi variabili

  •  Variano al variare del volume di produzione
  •   Sono costi di prodotto
  •   Dipendono dalle decisioni “attuali” dell’imprenditore

Costi fissi

  •       Restano costanti al variare del volume di produzione
  •       Sono costi della struttura aziendale
  •       Non dipendono dalle decisioni “attuali” dell’imprenditore perché sono originati da decisioni prese in passato, anche se determinano irreversibili effetti economici sull’esercizio in corso e su quelli futuri



I costi variabili variano al variare del volume di produzione

I costi variabili sono quei costi che variano proporzionalmente al variare del del volume di produzione, che aumentano quando il volume di produzione aumenta o diminuiscono quando il volume di produzione diminuisce.
Sono tipici esempi di costi variabili quelli che riguardano:
  • Materie prime
  • Manodopera diretta
  • Materiali di consumo
  • Utensili
  • Lubrificanti
  • Forza motrice
  • Interessi passivi su crediti concessa alla clientela 
  • Imballaggi
  • Trasporti
  • Provvigioni a rappresentanti
  • --------------------
  • --------------------
E’ infatti intuibile che se il volume di produzione aumenta del 10%, 20%, ecc,  anche i costi di materie prime, di manodopera diretta, aumenteranno pressoché nella stessa misura.
Ed è altrettanto intuibile che se il volume di produzione diminuisce del 10%, 20%, anche i costi di materie prime, di manodopera diretta,  diminuiranno nella stessa misura.

I costi fissi restano costanti al variare del volume di produzione

I costi fissi sono quei costi che almeno entro certi limiti, restano costanti al variare del volume di produzione.
Sono tipici costi fissi quelli che riguardano:
      • Manodopera indiretta
      • Impiegati tecnici
      • Illuminazione
      • Riscaldamento
      • Ammortamento fabbricati
      • Ammortamento impianti e macchine
      • Ammortamento attrezzature
      • Impiegati amministrativi
      • Impiegati commerciali
      • Spese postali e telefoniche
      • Spese di cancelleria
      • Interessi passivi su mutui
      • Spese pubblicitarie
      • ………………………
      • ………………………
Due esempi chiariranno quanto detto:
• Se la produzione aumenta del 10% quasi sempre l’incremento può essere conseguito senza  dover assumere un altro esperto di tempi e metodi di lavorazione, un altro capo reparto, un altro direttore generale.

E se la produzione diminuisce del 10% certamente questa circostanza non permetterà di ridurre del 10% le retribuzioni dell’esperto di tempi e metodi di lavorazione, del capo reparto o del direttore generale.

Perciò è lecito considerare che tali costi rimangono fissi quando il volume di produzione aumenta o diminuisce entro certi limiti.

•Se la produzione aumenta del 10% quasi sempre ciò è conseguibile senza dover acquistare nuove macchine e quindi senza dover accendere nuovi mutui per finanziare l’acquisto. E se la produzione diminuisce del 10% non per questo si può ridurre la dotazione di macchine del 10% o persuadere le banche a ridurre del 10% gli interessi passivi che l’azienda deve pagare a fronte di mutui in essere. 

Perciò è lecito considerare che ammortamenti e interessi passivi sui muti rimangono fissi quando il volume di produzione aumenta o diminuisce entro certi limiti.

I costi variabili sono costi di prodotto

I costi variabili sorgono solo in dipendenza della produzione di uno specifico prodotto e sono con certezza associabili ad esso. 
Infatti, possiamo dire con certezza che per produrre una unità di quello specifico prodotto l’azienda:
      • Sosterrà un costo di x Euro, per quella data materia prima;
      • Sosterrà un costo di y Euro, per quei minuti di manodopera diretta;
      • Sosterrà un costo k Euro, per quei dati materiale di consumo;
      • ………………………………………………………………………
      • ………………………………………………………………………
      • Sosterrà un costo z Euro, per provvigioni da pagare a rappresentanti che ha procurato            la vendita di quello specifico prodotto.

I costi fissi sono costi della struttura aziendale

I costi fissi non sorgono per produrre uno specifico prodotto, ma per dotare l’azienda di una struttura produttiva, organizzativa e di sviluppo capace di realizzare i fini aziendali; fini aziendali che non si esauriscono nella produzione di quello specifico prodotto, ma che riguardano la produzione di una vasta gamma di prodotti e di servizi.
In altri termini:
•Quando si decide l’acquisto di una macchina per aumentare la capacità produttiva   dell’azienda non sempre si pensa ad uno specifico prodotto alla cui fabbricazione detta   macchina dovrà contribuire. Nell’arco temporale lungo cui la macchina manifesterà la sua   utilità, essa servirà per produrre centinaia di prodotti diversi, molti dei quali non sono ancora   nemmeno nella mente dei progettisti.
•Quando si decide di assumere un dirigente per aumentare l’efficienza organizzativa   dell’azienda non si pensa ad un suo contributo volto alla produzione di uno specifico   prodotto. Si pensa, invece, a trarre vantaggio della sua competenza per programmare e   coordinare l’intera gamma dei prodotti che verranno fabbricati nell’esercizio in corso e negli   esercizi futuri.
•Quando si decide di costituire un Ufficio Ricerche per favorire lo sviluppo dell’azienda non si   pensa ad uno specifico prodotto, ma a eventuali prodotti che entreranno in fabbricazione fra   1 anno o fra 10 anni, di cui è difficile immaginare al momento le caratteristiche.
 La considerazione distinta dei costi variabili di prodotto e dei costi fissi di struttura permette   di  cogliere il diverso meccanismo secondo cui essi si comportano al variare del volume di   produzione.
 Per meglio chiarire i diversi obiettivi cui l’azienda mira quando sostiene dei costi fissi   possiamo procedere alle seguenti suddivisioni:
 Costi fissi della struttura produttiva
 Sono sostenuti per dare all’azienda una struttura in grado di garantire una data capacità   produttiva.

 Possono farsi i seguenti esempi:

  •Quote di ammortamento di fabbricati industriali, impianti, macchine, attrezzature, mezzi di       sollevamento e trasporto interno…
  •Interessi passivi relativi a mutui accesi per finanziare l’acquisto di fabbricati industriali,         impianti, macchine, attrezzature, mezzi di sollevamento e trasporto interno 
  •Leasing relativi a fabbricati industriali, impianti, macchine …
  •Costi di manutenzione relativi a fabbricati industriali, impianti, macchine …

Costi fissi della struttura organizzativa
Sono sostenuti per dare all’azienda una struttura di dirigenti e quadri in grado di programmare, gestire e tenere sotto controllo i processi di espansione.

Possono farsi i seguenti esempi:
  • Retribuzioni e oneri contributivi di dirigenti, impiegati e quadri intermedi;
  • Costi relativi alla dotazione di procedure organizzative;
  • Costi relativi a programmi di elaborazione dati;
  • ………………………………………………………
  •……………………………………………………….

Costi fissi di sviluppo aziendale
Sono sostenuti per garantire la continuativa presenza dell’azienda sul mercato ottenuta lanciando nuovi prodotti; creando, mantenendo ed incrementando la domanda dei prodotti dell’azienda da parte del mercato; dando all’azienda una favorevole immagine presso azionisti, banche, fornitori, clienti, consumatori, enti pubblici, comunità locali, dipendenti.

Possono farsi i seguenti esempi:

  • Costi relativi a ricerche e studi;
  • Costi relativi a programma di formazione del personale;
  • Spese pubblicitarie;
  • Partecipazione a fiere;
  • ………………………………………………………
  • ………………………………………………………

I costi variabili dipendono dalle decisioni “attuali” dell’imprenditore

L’imprenditore ha influenza sui costi variabili nel senso che le sue decisioni “attuali” possono determinare, limitare o annullare il loro sorgere.
Consideriamo ad esempio, il caso di un imprenditore al quale si presenti il responsabile di una grossa organizzazione commerciale proponendogli di produrre 100.000 maglie.
Tenuto conto del prezzo offerto (non troppo favorevole) l’imprenditore si riserva di dare una risposta entro un certo tempo, non escludendo alcuna delle due alternative: accettare o rifiutare l’ordine:
  •  Se l’imprenditore accetta l’ordine, con questa decisione influenza l’entità dei costi        variabili che dovrà sostenere nel prossimo futuro. Accettando l’ordine, infatti, accetta anche di sostenere i costi di materie prime, di manodopera diretta, materiali di consumo, … necessari per produrre le 100.000 maglie.
Se l’imprenditore non accetta l’ordine, con questa decisione influenza ugualmente l’entità dei costi fissi che dovrà sostenere nel prossimo futuro. Non accettando l’ordine, infatti, evita di sostenere i costi di materie prime, manodopera diretta, …per produrre le 100.000 maglie. In altri termini, non accettando l’ordine l’imprenditore rinuncia ai ricavi conseguibili vendendo le 100.000 maglie ma risparmia i costi variabili che avrebbe dovuto sostenere per produrle.

 I costi fissi non dipendono dalle decisioni “attuali” dell’imprenditore perché sono originati da decisioni prese in passato, anche se esse determinano irreversibili effetti economici sull’esercizio in corso e sugli esercizi futuri.

 L’imprenditore non ha alcuna influenza sui costi fissi nel senso che le sue decisioni “attuali” non possono né limitarli né annullarli. Riconsideriamo il caso precedente dell’imprenditore che deve decidere se accettare o rifiutare l’ordine di 100.000 maglie.
  • Se l’imprenditore accetta l’ordine dovrà sostenere i costi relativi alle retribuzioni degli impiegati e dei dirigenti, all’ammortamento del fabbricato e delle macchine, agli interessi passivi sui mutui.
  • Se l’imprenditore non accetta l’ordine dovrà ugualmente sostenere i costi relativi alle retribuzioni degli impiegati e dei dirigenti, all’ammortamento del fabbricato e delle macchine, agli interessi passivi sui mutui. Proprio per il fatto che le “attuali” decisione dell’imprenditore non sono in grado di influire sui costi fissi è necessario disporre di un sistema di rilevazione, calcolo e controllo dei costi che li ponga in immediata evidenza tenendoli separati dai costi variabili. Infatti, è necessario tener conto del diverso comportamento dei costi variabili e dei costi fissi al variare del volume di produzione.
  • Non accettando l’ordine di 100.000 maglie l’imprenditore rinuncia ai ricavi conseguibili dalla loro vendita. Tale rinuncia, però, potrà essere in parte addolcita dalla considerazione che almeno risparmierà i costi variabili che avrebbe dovuto sostenere accettando l’ordine.
  • Ma nessun risparmio potrà essere conseguito per quel che riguarda i costi fissi in quanto essi matureranno comunque, indipendentemente dalle “attuali” decisioni dell’imprenditore.
Se siete interessati a ricevere un file in Excel di un piano dei conti riclassificato tra costi variabili e costi fissi con il sistema a margine di contribuzione, potete richiederlo inviandomi un messaggio con la vostra mail.
In un prossimo articolo introduco il significato del margine di contribuzione e il punto di pareggio (break even point).
Se siete interessati a condividere dei vostri quesiti in merito, scrivete le vostre richieste per ricevere gratuitamente informazioni.









domenica 20 settembre 2020

Quanto vale il percepito per un’impresa?

 di Pierluigi Venturi

Il quesito che vi sottopongo con questo post, in prima battuta potrebbe sembrare un po' lontano rispetto ai contributi che ho fornito precedentemente per questo spazio di confronto. In realtà è molto coerente con la mia personale convinzione che qualsiasi imprenditore/manager, in questo periodo di grande incertezza, dovrebbe focalizzarsi sulle questioni fondamentali del fare impresa  per poi risignificarle ed adattarle al nuovo contesto competitivo.


Il percepito, assieme alla corretta gestione finanziaria, che in qualche modo influenza lo stesso, a mio parere, sono i due “pilastri” che consentono ad un’impresa di restare sul mercato. La mia risposta sintetica, dunque, alla domanda che dà il titolo a questo contributo è la seguente: il valore del percepito è pari al valore della stessa impresa. Il prosieguo dell’articolo sarà volto ad argomentare le ragioni di una risposta così netta.

Il primo assioma che viene evidenziato in qualsiasi corso di comunicazione è che, volenti o nolenti, “non è possibile non comunicare”. Il formatore di turno dopo questa frase di apertura, solitamente dice : "si comunica anche quando si resta in silenzio e allora tanto vale farlo bene!" Ogni imprenditore/manager deve essere consapevole che affinare continuamente gli aspetti del proprio stile di comunicazione ed interpretare come applicare lo stesso ai continui cambiamenti del contesto esterno ed interno all’impresa, è una sua responsabilità e deve far parte, obbligatoriamente, delle sue competenze distintive. 
Deve inoltre avere ben chiaro il concetto che una buona comunicazione non si ferma a quello che si dice e alle sue modalità, ma come diceva Peter Druker: “nella comunicazione la cosa più importante è ascoltare ciò che non viene detto”. Il celebre aforisma del padre del Management di origine Austriche, poi naturalizzato Statunitense, amplia notevolmente il concetto di comunicazione; un concetto che va oltre le tecniche/regole della comunicazione efficace e si avvicina al principio che qualsiasi azione compiuta in azienda ha una valenza comunicativa. Per un Manager non è, dunque, sufficiente saper leggere i bilanci, avere competenze tecniche, conoscere le regole del marketing e tutti gli altri aspetti operativi: deve necessariamente saper comunicare ed essere consapevole che ogni persona della sua azienda volente o nolente comunica attraverso le azioni che compie. Posso realizzare i prodotti e servizi più belli e performanti al mondo, ma se non riesco a comunicarlo non lo saprà nessuno e se non riesco a farlo bene, rischio di compromettere anche il valore di quanto realizzato di buono. La comunicazione nel senso più ampio del termine incide direttamente sulle relazioni del sistema impresa e quindi sul suo percepito. Già il percepito! Quella cosa difficile da definire in modo compiuto che personalmente immagino come un “alone” che avvolge l’azienda e che è strettamente collegato ad una serie di elementi come le relazioni, le competenze acquisite, la storia e il rapporto con alcuni aspetti fondamentali del fare impresa tipo la tecnologia, l’innovazione, la formazione e tanto altro. ll percepito rappresenta la sintesi dei motivi per i quali i clienti, i fornitori e i dipendenti scelgono un’impresa piuttosto che un suo concorrente. In tutto questo la comunicazione è il driver principale che collega l’impresa con i suoi Stakeholders ed alimenta costantemente lo stesso percepito. In altre parole rinnova la possibilità di essere scelti. Tuttavia occorre prestare molta attenzione perché il tutto si regge su equilibri molto precari e quindi si rende necessario verificare continuamente la coerenza tra ciò che l’impresa sta comunicando, il contesto competitivo e l’identità aziendale. In altre parole significa comprendere come ogni azione compiuta da ogni singolo operatore in azienda, incida sul suo percepito. Se ci fermiamo un attimo a riflettere non è difficile raggiungere questa conclusione. Capita regolarmente a tutti noi di stare al telefono ed un istante dopo la chiusura della telefonata esprimere un giudizio sulla stessa. Se stavamo parlando con una persona di nostra conoscenza potremmo esprimere giudizi sul suo umore e/o su gli altri aspetti emersi durante la telefonata. Se, invece, dall’altra parte della cornetta c’era uno/a sconosciuto/a, durante la telefonata avremmo sicuramente prestato attenzione al suo tono di voce, se aveva inflessioni dialettali, se parlava a voce alta, se possedeva un linguaggio forbito o utilizzava espressioni dialettali ecc…

 Ad ogni modo, al termine della telefonata esprimeremo ugualmente un giudizio di sintesi. Stessa cosa quando riceviamo una consegna da parte di un nostro fornitore; valutiamo la qualità dell’imballo, la puntualità, se il consegnato è conforme all’ordine e così via. Continuiamo ad esprimere giudizi anche quando riceviamo mail, messaggi Whatsapp, visitiamo siti internet, pagine Facebook o altri social. Non smettiamo di esprimere giudizi neanche nei confronti di scelte strategiche operate dai nostri clienti, fornitori e collaboratori. Esprimiamo giudizi anche quando valutiamo i bilanci, il business plan o il cash flow di un nostro fornitore. Stessa cosa dicasi per i nostri clienti. A volte sospendiamo il giudizio per non farci condizionare ma quella prima sensazione spesso ci rimane in testa. Fateci caso!
Se capita questo a noi, per quale ragione i nostri Stakeholders dovrebbero comportarsi in modo differente? Del resto, il percepito in via generale viene proprio definito come qualcosa che avvertiamo tramite i nostri sensi. Ne segue che, quando parliamo di questioni d’impresa, dobbiamo entrare nell’ordine di idee che qualsiasi azione operata dall’imprenditore/manager o dai suoi collaboratori, produce effetti sui sensi dei propri Stakeholders. I bilanci e i relativi indici di un’impresa che sono la sintesi di cosa la stessa ha realizzato in passato non incidono, quindi, soltanto sul percepito delle banche
e/o di ipotetici investitori, ma anche su quello dei Fornitori, Clienti e manager che stanno considerando l’opportunità di intrattenere rapporti con la stessa impresa. Evidentemente, incide molto anche la progettualità che l’impresa ha intenzione di sviluppare per il prossimo futuro, in quanto i bilanci ci parlano molto del passato, ma poco rispetto a quanto si ha intenzione di fare. È tuttavia abbastanza paradossale che molti imprenditori vogliano curare in prima persona ogni aspetto della vita dell’impresa: dal ciclo di produzione, alle vendite, alla gestione dei dipendenti, la cura degli imballi ed altro e poi trascurino i dati di bilancio e gli andamenti degli indicatori economico/finanziari considerandoli materia per i cosiddetti esperti. Errore grossolano! Se si è così attenti all’estetica, si deve sapere che Cerved, Banca Italia ed altre società sono le “vetrine” più importanti nelle quali un’impresa espone i propri prodotti in quanto tutti gli Stakeholders possono conoscere/consultare i conti e valutare i rischi a cui la stessa impresa si espone. La letteratura è piena di imprese passate velocemente da una situazione solida sia dal punto di vista economico/finanziario che del proprio percepito, ad una situazione che le ha poste fuori dal mercato. A tal proposito riporto un esempio piuttosto conosciuto. Molti di noi ricorderanno il BlackBerry, il famoso cellulare prodotto dalla società canadese RIM (Research in Motion) che nel 2013 diede il nome anche alla stessa azienda. Lo scorso anno la BlackBerry ha chiuso i battenti. Rileggere la storia di questa impresa è molto utile per comprendere il significato ed il valore del percepito. Il BlackBerry era nato nel 1999 e con il tempo era diventato uno status symbol o meglio un “arto”, come si usa dire in questi casi, per tutti coloro che operavano nel settore del business. Per avere una misura di quanto il mercato lo apprezzasse è sufficiente ricordare che, il titolo RIM, venne quotato in borsa l’11 settembre del 2006 con un valore iniziale di 26,50$ per azione e raggiunse quota 133$ il 7 novembre del 2007 (era già uscito l’iPhone). Un incremento impressionante grazie ad un ottimo percepito aziendale ottenuto attraverso una comunicazione efficace e rafforzata da tante azioni concrete quali lo sviluppo di nuovi prodotti sempre più performanti, ricerca ed innovazione continua ed accordi commerciali con le più prestigiose compagnie telefoniche di tutto il mondo. Tuttavia il 2007 è stato un anno particolare per il mondo della telefonia mobile in quanto venne introdotto sul mercato l’ iPhone. Il 12 febbraio dello stesso anno, dopo l’annuncio operato da Steve Jobs dell’uscita sul mercato “dell’oggetto” che rivoluzionerà la telefonia mobile, Jim Balsillie, co-amministratore delegato di RIM, disse ad un giornalista della agenzia Reuters: “Doesn’t see Threat from Apple’s iPhone”. Jim Balsille, quindi, pensava che l’arrivo dell’iPhone non sarebbe stata una minaccia, ma semplicemente l’ingresso di un altro concorrente nel mercato degli smartphone. Le cose non andarono esattamente come previsto da Jim Balsillie e non solo a causa dell’iPhone. Infatti, si ruppe qualcosa nel sistema azienda. I nuovi prodotti RIM non riuscirono più a sfondare; si crearono dei disservizi alla clientela che era abituata a performance di assoluto livello; gli azionisti erano preoccupati delle continue oscillazioni del titolo e tanto altro. In definitiva, da assoluta eccellenza, la RIM iniziò ad essere messa in discussione dallo stesso mercato. Il suo percepito era cambiato ma non solo perché era entrato nel proprio mercato un altro concorrente, ma perché le attività quotidiane non alimentavano sensazioni positive come in passato. Il terribile disservizio creato ai propri clienti nel 2011, che li lasciò senza mail per cinque giorni, non era stato causato da un sabotaggio ma da un sovraccarico di mail che giungevano sui propri terminali e non era neanche la prima volta che accadeva, quindi non difficile da prevedere. Il fatto di aver smesso di cercare soluzioni innovative, ad esempio, sulla durata e vita delle batterie che era stato il proprio cavallo di battaglia iniziale, non poteva essere legato alle capacità comunicative di Steve Jobs (l’iPhone era più performante da questo punto di vista); l’aver smesso di fare una vera innovazione e di limitarsi a degli aggiustamenti e restyling dei prodotti esistenti, aveva prodotto ritardi nei confronti del mercato e quando i loro ricercatori furono costretti a perseguire la strada del touchscreen si accorsero di dover rincorrere e che il gap di ritardo accumulato era diventato importante. Le organizzazioni, grandi o piccole che siano, abituate a mettere in fila strisce di successi, disimparano a gestire le situazioni di difficoltà e quando accade, generalmente, i loro dirigenti cominciano a mettersi alla ricerca di colpevoli per attribuire colpe, ma così facendo ritardano ulteriormente l’individuazione delle soluzioni. Prima del baratro, normalmente, i gruppi si rinsaldano e si torna a lavorare con spirito di squadra. Tuttavia, spesso è troppo tardi. Le nostre PMI per un lungo periodo hanno scontano un gap culturale non di poco conto nel dare il giusto valore al percepito. In molti casi è prevalsa la logica: “mio nonno faceva così, mio padre faceva così ed io continuerò a fare così”. Oggi, invece, mi sento di dire che in alcuni casi questo gap è stato recuperato; in altri deve essere ancora fatto e in altri ancora si sta esagerato. Nel senso che si sta puntando eccessivamente sulla comunicazione e non si presta, a mio modo di vedere, la giusta attenzione a fare in modo che il differenziale tra quanto comunicato e la realtà delle cose non sia troppo evidente. Puntare troppo sull’effetto wow per attirare clienti, fornitori e collaboratori può diventare controproducente laddove non si riuscisse ad essere coerenti sul fronte delle risposte. Occorre non eccedere con quanto si apprende, in taluni corsi di formazione che tendono ad evidenziare l’importanza della comunicazione e sminuire il saper fare manuale delle cose. Spesso ci si dimentica che il percepito passa attraverso i sensi dei nostri Stakeholders e se li trattiamo da “rompiscatole” o peggio,  se ne accorgono. Molte imprese utilizzano i loro canali di comunicazione per affermare quanto siano Customer oriented, di quanto tengano ai loro collaboratori e ai loro partner in genere, ma spesso sono affermazioni che non trovano riscontro nei comportamenti concreti e, quindi agli occhi dei loro interlocutori quelle affermazioni si trasformano in una presa in giro ed archiviate nella propria mente come il frutto di una cultura dell’apparire piuttosto che dell’essere.
L’imprenditore/manager, oggi, non può non considerare l’effetto Covid e la necessità di adeguare la comunicazione della propria impresa a questo nuovo contesto. A mio modo di vedere, occorre non eccedere con il vecchio pensiero dei comunicatori di un tempo, vale a dire che con il giusto modo si poteva dire tutto. Il giusto modo è utile per far arrivare meglio il messaggio, ma se non ci sono i contenuti il messaggio è nullo. Soprattutto di questi tempi! Evitiamo di ripetere in continuazione che stiamo “ripartendo” e che nonostante il Covid garantiremo i nostri servizi. L’abbiamo fatto? Siamo ripartiti? Bene ora basta ripeterlo! Torniamo a lavorare sul sogno! Raccontiamo, piuttosto i contenuti della nostra progettualità futura, ma soprattutto evitiamo di dichiarare qualcosa che non trovi riscontro nella realtà! In definitiva il valore del percepito per un'impresa è pari al valore della stessa perché rappresenta la sintesi agli occhi dei propri Stakeholders tra ciò che dice e ciò che fa. E’ qualcosa che si conquista con il tempo non avviene dall’oggi al domani e per tale motivo necessita di un progetto dedicato; non solo per la realizzazione ma anche per la sua manutenzione. Ciò che è stato fatto in passato è stato fatto e non offre nessuna garanzia per il futuro considerato il contesto competitivo attuale. Se per qualsiasi ragione, dovesse diventare negativo agli occhi dei propri Clienti, ma più in generale di tutti i suoi Stakeholders, non basteranno i denari per farlo tornare positivo. Se i clienti di un’impresa non la ritengono più capace di onorare gli ordini (cambio di percezione), smettono di inviarne.Sappiamo tutti che senza ordini/vendite non si va molto lontano. Allo stesso tempo se il percepito dovesse minare la fiducia dei fornitori e dei collaboratori la stessa impresa si troverebbe in difficoltà ad evadere gli ordini e quindi si raggiungerebbe la stessa posizione di criticità che, se non corretta, la potrebbe mettere a rischio di permanenza sul mercato. E’ possibile misurare e monitorare il percepito ed evitare di arrivare al punto di non ritorno? Assolutamente sì! Tuttavia, dipende molto da quanto la “cultura del dato” sia diffusa in azienda e quanto l’imprenditore/manager e i suoi collaboratori siano disponibili a cambiare i propri habitus mentali. Tanto più sarà diffusa una tale cultura, maggiormante sarà possibile aggiustare le cose. In altre parole, l’adagio prevenire è meglio che curare si adatta perfettamente a tutte le tematiche del percepito. Mi fermo qui per non risultare eccessivamente lungo. Evidentemente per entrare maggiormente in dettaglio sulle questioni del percepito sarebbe opportuno analizzare un caso concreto per comprendere l’operatività delle tecniche di rilevamento e della misurazione dello stesso. Qualora ci sia interesse, mi riservo di farlo in un prossimo post.
Buona riflessione!

domenica 6 settembre 2020

Il Controllo dei Costi: perché è così importante in Azienda?

 di Luciano Giambartolomei

Oggi vi propongo una delle cause interne che portano un’azienda fuori controllo economico.

Il controllo dei costi è una delle funzioni più importanti nell’ambito della gestione dell’impresa ed è anche una delle funzioni meno presenti, considerando i vantaggi che porta a chi lo utilizza. Infatti, avere un sistema di controllo dei costi ti permette di sapere come si creano i costi all’interno della tua azienda e quindi di poterli controllare per aumentare i profitti.

Ma non è solo questo il ruolo del sistema di controllo dei costi: infatti, esso fornisce anche elementi utili per stabilire i prezzi di vendita dei tuoi prodotti e servizi. Inoltre, consente di tenere sotto controllo l’andamento economico della tua azienda poiché ti permette di avere numeri esatti che ti sono necessari per valutare con maggior precisione e cura cosa sta realmente accadendo nella tua azienda.


Il controllo dei costi: cosa accade veramente ai tuoi costi?

Molti imprenditori quando devono decidere il prezzo di vendita del loro prodotto/servizio, solitamente fanno un’equazione come quella di seguito, che però è sbagliata:

 

Calcolare in questo modo il prezzo di vendita ha un limite che è quello di non tenere in considerazione i costi fissi che incidono sulla formazione del costo totale del prodotto in modo “invisibile”. Più precisamente, quando devi decidere il prezzo del tuo prodotto/servizio, è bene tenere in considerazione anche alcuni costi come le quote di ammortamento e altri ancora. Ecco perché devi individuare bene i costi fissi e i costi variabili, i costi diretti e quelli indiretti: ciò ti consente di prendere le decisioni aziendali avendo ben presenti tutti i costi che sostiene la tua azienda al fine di decidere con maggiore precisione il prezzo di vendita del tuo prodotto/servizio, limitando di molto la possibilità di commettere errori di valutazione nella stima dei costi e quindi nella determinazione del prezzo di vendita. Disporre di un sistema di imputazione e di controllo dei costi ti aiuta a gestire in modo più consapevole l’azienda e a prendere le decisioni in modo razionale.

A cosa serve un sistema di controllo dei costi

Quindi, si può affermare che un sistema di imputazione e di controllo dei costi è uno strumento di gestione che serve per:

controllare i costi per attuare politiche di riduzione degli stessi,

controllare i prezzi di vendita per prendere decisioni aziendali che     massimizzano i tuoi profitti,

controllare l’efficienza aziendale,

programmare l’attività aziendale,

controllare lo svolgimento dell’attività nel suo complesso,

fornire informazioni utili per compiere scelte fra diverse alternative.


Quando decidi di introdurre nella tua azienda un sistema di controllo dei costi, è meglio che procedi per fasi:


FASE 1: analisi dell’impresa

In questa fase devi definire le specifiche del tuo sistema di controllo; questa attività è importante perché il sistema di controllo non è un qualcosa che si applica indistintamente a tutte le aziende, ma è una specie di “vestito su misura” specifico per la tua azienda. Quindi, gli aspetti che devi valutare sono:

l’ambiente: esaminato da un punto di vista economico, politico, legislativo, sociale, culturale, tecnologico e fisico. Cosa significa? Se operi in una regione con alto reddito pro-capite, puoi decidere di produrre prodotti di alta qualità e ad alti costi perché è evidente che il mercato a cui ti rivolgi ha le potenzialità per comprare prodotti costosi. Oppure, puoi considerare anche la cultura in termini di moda: questa caratteristica può determinare la fortuna di alcune aziende, e la morte di altre. E’ bene, quindi, conoscere il contesto ambientale in cui opera la tua azienda così da poterne cogliere i segnali e le tendenze;

il settore: l’analisi del settore in cui operi ti serve per individuare le sue prospettive di sviluppo; in particolare devi studiare le esigenze dei consumatori, la stabilità della domanda, lo sviluppo potenziale del mercato, le caratteristiche delle imprese concorrenti, gli incentivi pubblici ed economici al settore;

la posizione dell’impresa rispetto al mercato di riferimento ed alla concorrenza: l’obiettivo di questo tipo di analisi è quello di verificare il posizionamento della tua azienda rispetto alla concorrenza e di individuare i fattori sui quali basare la competizione;

analisi interna dell’impresa: devi valutare come è organizzata l’azienda per competere nel mercato e quali caratteristiche strutturali e risorse mettere in campo. Gli aspetti da valutare sono in termini di processo produttivo, della struttura produttiva, della struttura organizzativa e della situazione economico-finanziaria (redditività, liquidità, capacità di acquisire risorse finanziarie). Questo tipo di analisi, effettuata dopo l’analisi dell’ambiente esterno, serve per capire se la tua azienda è in grado di operare con buone prospettive.


Dopo questa prima fase di analisi generale del contesto in cui opera la tua azienda, passi alla “fase 2″:


FASE 2: definizione dei centri di responsabilità

al momento che il controllo di gestione si esercita non solo sull’azienda nel suo complesso, ma anche sulle singole funzioni, devi identificare i centri di responsabilità o centri di costo. Un centro di responsabilità è un gruppo di persone che opera insieme per raggiungere un obiettivo aziendale. Per identificare i centri di responsabilità della tua azienda parti dall’analisi della struttura organizzativa dell’azienda stessa. Ad ogni centro di responsabilità è abbinato un centro di costo, che è un centro in cui convergono vari costi provenienti da varie parti dell’azienda. Ciò significa che la prima cosa da fare è chiedersi da dove arrivano i costi, cioè quali sono i reparti aziendali in cui si formano.

Per esempio, un’azienda che produce capi di abbigliamento può essere idealmente suddivisa in alcuni centri che sono: 

1) stesura del tessuto;

2) taglio; 

3) cucito; 

4) asole e bottoni;

5) stiratura;

5) imballaggio; 

Ognuno di questi centri, assorbe risorse economiche e finanziarie e pertanto devono essere considerati come centri “autonomi” all’interno dell’azienda. Ciò significa che il costo della manodopera di una sarta (che lavora nel centro “taglio”, non incide (e non deve incidere) sul meccanismo di formazione di altri costi in altri centri di costo. Quindi, nell’analisi delle singole voci di costo, ci sono costi che possono essere direttamente attribuiti ai reparti, e altri costi che non possono essere attribuiti direttamente agli stessi reparti.


FASE 3: il sistema informativo contabile

Dopo aver individuato i centri di responsabilità, devi effettuare un’analisi del sistema informativo-contabile che è presente in azienda e che è indispensabile per rilevare e prevedere i diversi fatti economici. I principali strumenti del sistema informativo-contabile sono la contabilità generale, la contabilità analitica (o contabilità dei costi) ed il piano a medio lungo termine (business plan) e la sua articolazione nel budget annuale. Questi appena menzionati sono strumenti fondamentali per la direzione ed il management della tua azienda perché il loro utilizzo consente di prendere le decisioni in modo razionale e coerente con gli obiettivi prefissati in fase di pianificazione.


Conclusioni

Solitamente la maggior parte degli imprenditori prende le decisioni basandosi solo sui dati contabili che provengono dal conto economico e che hanno natura prevalentemente contabile e fiscale. Ma questi dati nulla dicono a proposito dei meccanismi di formazione dei costi, cioè quello di cui stiamo parlando in questo articolo. La contabilità generale dice solo quanto costano i fattori produttivi, ma nulla dice sul come si formano i costi di prodotto, cioè quali sono i fattori che intervengono sul prodotto a crearne il costo complessivo.

Ecco perché, di solito, ai sistemi di contabilità generale si affiancano sistemi di controllo dei costi tipici della contabilità analitica. L’imprenditore deve prendere decisioni, e per farlo ha bisogno di basi certe e dati precisi. Ecco perché è importante implementare un sistema di controllo dei costi all’interno dell’azienda, anche se può costare qualcosa. Quello che si investe per introdurre un simile sistema di controllo, poi “ritorna” sotto forma di decisioni più rapide, più precise e più redditizie.

Se siete interessati a condividere dei vostri quesiti in merito, scrivete le vostre richieste per ricevere gratuitamente informazioni.

Chi è Luciano Giambartolomei


domenica 23 agosto 2020

Il Budget non è un Bilancio di previsione

di Pierluigi Venturi

 Domani per molti sarà il giorno del rientro dalle ferie e la ripresa delle attività che, mai come quest’anno, si preannuncia con molti elementi d’incertezza.

Molti imprenditori/manager (quelli che non riescono mai a staccare) durante le ferie avranno già fatto delle valutazioni sull’impatto del lockdown, su quelle che potrebbero essere, per il prossimo futuro, le conseguenze del protrarsi di una situazione d’incertezza legata al Coranavirus e quali azioni intraprendere. Altri, magari presi dallo sconforto, hanno preferito concedersi un momento di semplice relax per eliminare qualche “tossina” e tornare a ragionare in modo più lucido proprio da domani.  Altri ancora, avranno cercato di individuare scorciatoie per risolvere i problemi contingenti sperando di trovare conforto da uno “zio d’America” o come ultima ratio puntare sul “gratta e vinci”. Soluzione quest’ultima dalle remote probabilità di successo sul fronte finanziario, ma che potrebbe strappare un sorriso allo stesso imprenditore e, quindi, utile per farlo focalizzare su ciò che serve veramente alla sua impresa. 


Coerentemente con il mio precedente contributo per questo spazio all’interno del blog de “La Via della Seta” di seguito fornirò uno spunto di riflessione concreto per gli imprenditori/manager che domani tornano al lavoro. 

A mio avviso, in questo momento di grande riflessione non occorre inventarsi chissà che, ma piuttosto serve risignificare concetti e strumenti che fanno parte o dovrebbero far parte del nostro fare quotidiano. Ad esempio, utilizzare il budget come vero strumento di pianificazione e controllo e non lasciarsi andare ad atteggiamenti di sfiducia legati al clima di grande incertezza.


Un mio professore, ai tempi dell’Università, era solito introdurre il concetto del budget con la seguente negazione: “non si tratta di un bilancio di previsione”. Il suo incipit non era un vezzo comunicativo, ma la volontà di chiarire, sin dall’introduzione, quali fossero gli elementi che caratterizzano un vero budget.

Infatti, se il bilancio di previsione può rappresentare un esercizio del singolo manager o di un team di prevedere una stima a chiudere in base a dati parziali e ad elementi storicizzati, nel caso del budget, invece, entrano in gioco gli habitus mentali di tutte le persone che lavorano in un’impresa e che possono influenzare notevolmente il risultato aziendale.

Alla base di un vero budget c’è l’assunzione di responsabilità da parte del titolare dello stesso nello svolgere i propri compiti e la consapevolezza del ruolo che ricopre all’interno di tutto il processo.  Entrano in gioco anche la capacità di focalizzarsi sugli obiettivi individuati e l'agentività nel portare correzioni in positivo qualora si debbano affrontare difficoltà durante il percorso.  

Il budget si costruisce attraverso un processo che partendo dall’analisi delle singole attività quotidiane dei vari reparti/settori/aree aziendali e tenendo in considerazione la strategia dell’imprenditore/leader, individua i singoli obiettivi e trova la sintesi in un documento formale. In sostanza è un momento di confronto e di negoziazione interna all’impresa tra la visione strategica e la possibilità di tradurla in attività quotidiane.  Tuttavia nella pratica non è insolito incontrare, in grandi imprese, ma anche in medie e piccole, situazioni in cui il budget viene calato dall’alto o al massimo si arriva a negoziazioni formali, in cui il capo settore convince il capo reparto che l’obiettivo a lui assegnato è facilmente raggiungibile. Come sempre occorre valutare il singolo caso e comprendere dove stiano le responsabilità: se il capo settore abbia formulato delle ipotesi senza senso o al contrario sia il capo reparto a fare resistenza al cambiamento suggerito dal capo settore.   È anche normale che nel gioco dei ruoli ci sia una certa prudenza di chi si deve assumere una responsabilità e un certo ottimismo in chi invece cerca di assegnarla. Ad ogni modo, occorre comprendere che la negoziazione è un passaggio che non può essere saltato. Senza assunzione di responsabilità non è possibile parlare di un vero budget; perché di questo si tratta: di assunzione di responsabilità. L’imprenditore/leader di qualsiasi impresa dovrebbe stimolare una vera discussione del budget, in quanto rappresenta un momento di crescita culturale complessivo per l’azienda, consente di entrare nel merito delle criticità e di comprendere, più in generale, gli umori della propria organizzazione.  Inoltre, è un momento utile perché l’ascolto dei feedback consente di rimodulare la strategia e gettare le basi per provare a fare altro. Durante la discussione del budget si riesce a comprendere lo stato di salute dei propri vantaggi competitivi e se sia il caso di abbandonare certe “arene” dove l’impresa non riesce più a fare la differenza. In definitiva, se la fase di negoziazione in cui si tratta l’assunzione di responsabilità del titolare del budget è fatta positivamente, tutto il resto diventa più semplice. Declinare il budget annuale in mesi, settimane e giorni partendo dalla misurazione delle singole attività diventa facile perché a farlo è qualcuno che si è assunto la responsabilità e che in fase di monitoraggio risponderà dei propri risultati. 

Esiste un momento migliore di ora per rispolverare questo concetto?


Nello specifico della costruzione del budget si può affermare in via generale che ogni aspetto deve avere una valutazione. Ogni singola attività per essere misurata ha necessità di essere confrontata con un'aspettativa precedentemente formulata. Ne segue che si avrà un budget delle vendite, della produzione, delle spese generali, degli investimenti, del conto economico, di cassa e quello finanziario in genere. Mi permetto, inoltre, di suggerire l’inserimento di un budget per la sperimentazione. In questo contesto non può mancare! Magari ne parleremo in una prossima occasione; al momento mi limito a dire che 

la sperimentazione è una scelta strategica che ha l'obiettivo di contenere i costi di decisioni sbagliate, ma allo stesso tempo, interiorizza il concetto dell’errore come investimento. La possibilità, dunque, di individuare un percorso di crescita partendo proprio dalle analisi degli errori. Ne segue che, considerata l’alta probabilità di commettere errori in questa fase di grande incertezza, non può mancare una sezione del budget che consideri gli stessi come parte integrante del budget generale.

Dovranno essere valutate, inoltre, coerenza e sostenibilità con riferimento alle capacità di mantenere gli impegni e i rischi “accettati” dall'imprenditore. Un vero budget passa attraverso il vaglio di tutte queste fasi: dove elaborazioni numeriche si mescolano con le relazioni, la cultura e gli habitus mentali dei singoli che ruotano attorno il sistema impresa.  Ecco perché il budget non è un bilancio di previsione! 

Chi è Pierluigi Venturi



sabato 8 agosto 2020

L'Impresa in Crisi? Si può evitare

Eccoci arrivati al secondo appuntamento con la nuova pagina di approfondimento dedicata alle Imprese. Questa volta diamo spazio al contributo di Luciano Giambartolomei, oggi pensionato ma con alle spalle una lunga esperienza di Dirigente aziendale/Controllo di Gestione nel settore della manifattura industriale. CLICCANDO QUI  potrete saperne di più sul suo profilo.

Vi aspettiamo nei commenti per darci il vostro parere e i vostri suggerimenti.

    

"Governare con successo l’azienda significa raggiungere e mantenere delicati equilibri nella competitività, nella dimensione economico-finanziaria, nella socialità. Il blog dell’Associazione Culturale La Via Della Seta si mette a disposizione in particolare alle PMI, rappresenta un ambito di discussione e riflessione critica sugli strumenti che consentono il monitoraggio, la valutazione e il miglioramento delle performance aziendali, alla continua ricerca di livelli superiori di equilibrio. L’obiettivo è di dare spazio ad un dibattito tra imprenditori, studiosi e tecnici sulle condizioni di efficace impiego degli strumenti di gestione e controllo.

Spesso sentiamo dire che la crisi che ha messo in difficoltà gran parte delle Imprese, dipende da fattori esterni ed imprevisti: ma è proprio così? 

Luciano Giambartolomei

 La crisi è una situazione negativa per l'Impresa evidenziata da segnali di instabilità che, se non vengono corretti, aggravano nel tempo la situazione economico finanziaria.

 Partiamo dal presupposto che esistano due grandi cause che scatenano la situazione di difficoltà economica e finanziaria, cause esterne derivanti da fattori imprevisti e spesso poco prevedibili e da cause interne dovute all'inefficienza dell'organizzazione, della struttura aziendale o del prodotto.

 Di conseguenza, diventa difficile per l'Impresa ottenere credito dagli istituti bancari e finanziari, ricevere dilazioni di pagamento dai fornitori, avere interesse da parte di eventuali acquirenti finanziatori, mostrare un'immagine credibile nei confronti dei clienti.

 Molto spesso l'Impresa si trova in difficoltà per una serie di concause che provengono sia da fatti esterni, sia da problematiche interne alla stessa. Rilevando con tempestività le cause interne, eviteremmo che i fattori esterni compromettano in maniera irreversibile la situazione economica-finanziaria.

 Una situazione di difficoltà che perdura nel tempo, aggravandosi giorno dopo giorno, ha come conseguenza la perdita di competitività, la riduzione della produzione, e quindi diventa più difficoltosa la copertura dei costi.

L'Imprenditore deve fare attenzione soprattutto alle cause interne, come ad esempio gli investimenti sbagliati; l'incapacità di coordinare i fattori produttivi, che genera maggiori costi fissi; le rigidità strutturali; la mancanza di innovazione; il prodotto che non risponde agli standard qualitativi richiesti; l'inadeguata programmazione del passaggio generazionale; l'incapacità nell'identificare i primi segnali di difficoltà; gli errori gestionali.

Come fare? Semplicemente rivolgendosi a professionisti esperti di Ristrutturazione Aziendale, i quali analizzando le ragioni della crisi e facendo un check-up sulla gestione economica dell'impresa, sono in grado di sviluppare le contromisure necessarie per fronteggiare le difficoltà in cui si trova l'impresa. 

 

La velocità con cui l'impresa esce dalla crisi è funzione della cultura aziendale ed organizzativa, raddrizzare gli sbandamenti significa che chi opera in azienda la vive come una cosa sua, è una persona attiva, flessibile, intraprendente e pronta ad imparare cose nuove a qualsiasi età."

Luciano Giambartolomei

sabato 25 luglio 2020

Cultura D'Impresa: poniamoci alcune domande!


In attesa di riprendere i corsi di formazione e tornare “alla nuova normalità”, l’Associazione Culturale La Via della Seta ha il piacere di comunicare a tutti i suoi Soci, Amici e Simpatizzanti, l’inizio, a partire dal mese di luglio, di una sezione del proprio blog dedicata alla “Cultura d’Impresa”

In un contesto in cui tutti, analisti, economisti, sociologi, filosofi, virologi, religiosi, politici, insegnanti, imprenditori, si stanno interrogando su come cambierà lo stare insieme dopo il Covid-19, dimenticando spesso che c’è un presente da affrontare, La Via della Seta, cercherà di dare un contributo concreto alle PMI (Piccole Medie Imprese) che sono la maggior espressione imprenditoriale del nostro territorio. Come? Ragionando insieme sui fondamentali del fare impresa. Cercheremo di farlo affrontando le questioni pratiche che fanno parte del quotidiano, ma, allo stesso tempo, ci sforzeremo di fornire contributi  per l’elaborazione di una nuova strategia che aiuti gli imprenditori a ragionare con i nuovi schemi imposti dal nuovo contesto competitivo. È una sezione aperta ai commenti di tutti coloro i quali vorranno partecipare con un serio spirito costruttivo.

Le domande, gli aneddoti, le curiosità, le proposte ed altro, potranno essere inseriti a commento  del post dove auspichiamo nascano delle vivaci e stimolanti discussioni che serviranno da spunto per altri e ulteriori argomenti.

Al fine di dare subito concretezza a questa iniziativa abbiamo chiesto a due Soci esperti in materia, Luciano Giambartolomei e Pierluigi Venturi, di farci da guida lungo questo viaggio nel mondo dell’Economia e delle Imprese.

Cominciamo con il primo contributo di Pierluigi Venturi al quale seguirà presto quello di Luciano Giambartolomei. Vi aspettiamo nei commenti per dirci cosa ne pensate ed interagire con i nostri Blogger.

Who's Who: https://www.linkedin.com/in/pierluigi-venturi-12a691192/

Pierluigi Venturi LVDS

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Tra le tante cose  che ho letto in questi giorni, mi ha colpito e fatto riflettere un passaggio di un articolo pubblicato da Kevin Sneader e Shubham Singhal sul sito della prestigiosa società di consulenza McKinsey che propongo qui di seguito:”The coronavirus could be the biggest global challenge since World War II. In the wake of that conflict came the question: “What did you do during the war?” That question will be asked, forcefully, of both government and business, once the COVID-19 battle has been won. Business leaders need to ask it of themselves now”. Ciò che mi colpisce di questa considerazione non è tanto la metafora riferita alla seconda guerra mondiale, ma la necessità, oggi,  per  ogni imprenditore e/o amministratore di qualsiasi azienda, di porsi delle domande e fornire delle risposte cercando di dare forma alla nuova normalità futura per guidare l’azione quotidiana. La necessità, quindi, di trovare il tempo per pensare e non essere fagocitati dall’emergenza. Qualsiasi imprenditore, allenato a far fronte a cambiamenti importanti, sa che la prima cosa da fare in queste situazioni è quella di mettere in sicurezza l’impresa e, quindi,  “guadagnare” quel famoso tempo  per   pensare. Come? Ristabilendo l’equilibrio  a fronte del colpo ricevuto. Di seguito le primissime mosse da fare.

Prima mossa. Il problema con la P maiuscola nella gestione delle crisi  è la questione finanziaria. Con il Covid 19 diventa ancora più centrale, in quanto è l’intera economia mondiale ad avere subito  uno shock. Per tutte le imprese, quindi, si renderà necessaria una nuova pianificazione finanziaria in base alle nuove previsioni di entrata e di uscita, in quanto è facile  intuire che si andrà incontro ad un periodo di tensione a livello di flussi; mi viene da dire direttamente proporzionale all’impatto della crisi. In figura 1 riporto in modo esemplificativo l’andamento finanziario che corrisponde ai diversi momenti della gestione della stessa crisi: lo shock iniziale; l’adeguarsi al nuovo contesto,  la ripartenza e sviluppo di nuova progettualità. 

È altrettanto facile da prevedere che  non colpirà allo stesso modo tutte le imprese e che l’andamento, per la singola impresa, potrebbe essere più tortuoso di quanto rappresentato in figura 1. Per quelle che, prima del Covid 19, vivevano già una situazione di difficoltà finanziaria, le cose potrebbero complicarsi fino a diventare irreversibili e/o causare un ulteriore ritardo rispetto ai propri competitors.  Per quelle, invece, che avevano una gestione finanziaria equilibrata ed abituate a pianificare questo elemento vitale per l’impresa, dovranno semplicemente gestire le difficoltà di breve/medio periodo, con un programma ad hoc da condividere  con dipendenti, collaboratori, fornitori, clienti e banche. 


 

Figura 1. Esempio di impatto finanziario conseguente ad una crisi 

Dopo il Covid 19, le imprese tenderanno ad avere una maggiore liquidità per timore di una ricaduta ed è per questo motivo che  immagino un equilibrio finanziario dopo la crisi ad un livello superiore rispetto a quello pre crisi. Sarà interessante capire  quanto, tutto questo, inciderà sulle decisioni di investimento  future. Ogni caso sarà un caso a sé che dipenderà da una serie di fattori quali: le politiche finanziarie/fiscali  governative che verranno messe in atto, il settore in cui opera l’impresa, i trend internazionali, ma soprattutto le scelte strategiche delle singole imprese.  





Figura 2. Tempo impiegato nella gestione dello shock


Seconda mossa. La ripianificazione finanziaria per la gestione della crisi va di pari passo con il mantenimento delle relazioni con tutte le componenti fondamentali del sistema azienda. Molti imprenditori non sapendo cosa dire, in queste situazioni, rimangono in silenzio, ma così facendo mettono in uno stato di agitazione gli altri interlocutori. In questa fase non si può fare altro che gestire/affrontare lo shock. Il tempo dell’imprenditore/leader dell’impresa viene assorbito quasi totalmente dalla gestione dell’emergenza come in figura 2. Non potrebbe essere altrimenti!. Tanto più sarà tempestivo nel trovare il nuovo equilibrio, tanto prima riuscirà a dedicare tempo alla nuova strategia. 

Terza mossa. La situazione rappresentata in figura 3. sta ad indicare che è stato raggiunto il nuovo equilibrio di crisi. In questo momento non si può mollare sulla gestione dei problemi contingenti, occorre resistere ed adattarsi alla nuova situazione, ma al contempo si comincia a guardare avanti.



Figura 3. Tempo impiegato nella gestione del nuovo equilibrio di crisi


In questa fase, l’imprenditore/dirigente di un  piccola impresa, dove alcuni ruoli si sommano, deve essere particolarmente focalizzato/a sulla gestione del tempo e fare in modo che questo non venga fagocitato solo dalla gestione della crisi(per la grande impresa ci sono motivazioni diverse, ma il rischio che le persone non siano focalizzate è molto alto anche per loro). L’imprenditore, che spesso è anche l’amministratore dell’impresa, in questo momento, deve dare indicazioni chiare, facili da comprendere e stabilire dei brevi e costanti momenti di verifica con i suoi collaboratori. Sono assolutamente da evitare riunioni plenarie frequenti nelle quali tutti  parlano dei massimi sistemi e della “nuova normalità”. Occorre focalizzarsi sulle cose essenziali del fare impresa: portare a “casa” ordini; gestire in modo efficiente ed efficace le risorse finanziarie; avere un atteggiamento parsimonioso (ancora più del solito) abbinato alla costante verifica delle possibilità di tagliare costi, al fine di trovare risorse aggiuntive per investimenti, senza snaturare l’identità aziendale.  In questa fase è’ difficile prevedere con precisione come sarà la ripresa. Ogni impresa avrà un percorso differente. Tuttavia si possono individuare  caratteristiche comuni quali:  il continuare a fare le cose che appartenevano al modo di fare impresa precedente; non farlo a pieno regime e pensare che sarà transitorio.


Quarta mossa. L’approdo alla “nuova normalità” sarà rappresentata da una gestione del tempo equilibrata tra routine e miglioramento della nuova strategia (cfr Figura 4). Sarà il momento in cui l’imprenditore e/o il manager potrà dedicarsi completamente ad affinare le risposte con riferimento alle domande che si era posto all’inizio della crisi. 




Figura 4. Tempo impiegato nella gestione del nuova normalità


Ho voluto evidenziare la risorsa tempo nella gestione della crisi, in quanto decisiva per uscirne e per guadagnare vantaggio nei confronti dei competitors. Tanto più breve sarà il tempo impiegato nella gestione della crisi e maggiori saranno le possibilità per l’impresa  di cogliere nuove opportunità dopo il Covid 19. In altre parole il ritardo che le imprese accumuleranno sarà direttamente proporzionale al numero di problemi che l’azienda aveva prima dello scoppio della pandemia. Ne segue che, se i fondamentali dell’impresa erano buoni, ci sono concrete  possibilità di aggiungere vantaggi rispetto alla situazione precedente.

A questo punto, dopo aver messo in sicurezza l’azienda, i leaders di qualsiasi impresa, possono sbizzarrirsi nel cercare di dare forma a quello che sarà la nuova normalità. Quindi, definire in modo più preciso quelle risposte che, come detto sopra, sono stati costretti a dare nel momento di emergenza per guidare le loro azioni quotidiane.” 

Pierluigi Venturi