domenica 20 settembre 2020

Quanto vale il percepito per un’impresa?

 di Pierluigi Venturi

Il quesito che vi sottopongo con questo post, in prima battuta potrebbe sembrare un po' lontano rispetto ai contributi che ho fornito precedentemente per questo spazio di confronto. In realtà è molto coerente con la mia personale convinzione che qualsiasi imprenditore/manager, in questo periodo di grande incertezza, dovrebbe focalizzarsi sulle questioni fondamentali del fare impresa  per poi risignificarle ed adattarle al nuovo contesto competitivo.


Il percepito, assieme alla corretta gestione finanziaria, che in qualche modo influenza lo stesso, a mio parere, sono i due “pilastri” che consentono ad un’impresa di restare sul mercato. La mia risposta sintetica, dunque, alla domanda che dà il titolo a questo contributo è la seguente: il valore del percepito è pari al valore della stessa impresa. Il prosieguo dell’articolo sarà volto ad argomentare le ragioni di una risposta così netta.

Il primo assioma che viene evidenziato in qualsiasi corso di comunicazione è che, volenti o nolenti, “non è possibile non comunicare”. Il formatore di turno dopo questa frase di apertura, solitamente dice : "si comunica anche quando si resta in silenzio e allora tanto vale farlo bene!" Ogni imprenditore/manager deve essere consapevole che affinare continuamente gli aspetti del proprio stile di comunicazione ed interpretare come applicare lo stesso ai continui cambiamenti del contesto esterno ed interno all’impresa, è una sua responsabilità e deve far parte, obbligatoriamente, delle sue competenze distintive. 
Deve inoltre avere ben chiaro il concetto che una buona comunicazione non si ferma a quello che si dice e alle sue modalità, ma come diceva Peter Druker: “nella comunicazione la cosa più importante è ascoltare ciò che non viene detto”. Il celebre aforisma del padre del Management di origine Austriche, poi naturalizzato Statunitense, amplia notevolmente il concetto di comunicazione; un concetto che va oltre le tecniche/regole della comunicazione efficace e si avvicina al principio che qualsiasi azione compiuta in azienda ha una valenza comunicativa. Per un Manager non è, dunque, sufficiente saper leggere i bilanci, avere competenze tecniche, conoscere le regole del marketing e tutti gli altri aspetti operativi: deve necessariamente saper comunicare ed essere consapevole che ogni persona della sua azienda volente o nolente comunica attraverso le azioni che compie. Posso realizzare i prodotti e servizi più belli e performanti al mondo, ma se non riesco a comunicarlo non lo saprà nessuno e se non riesco a farlo bene, rischio di compromettere anche il valore di quanto realizzato di buono. La comunicazione nel senso più ampio del termine incide direttamente sulle relazioni del sistema impresa e quindi sul suo percepito. Già il percepito! Quella cosa difficile da definire in modo compiuto che personalmente immagino come un “alone” che avvolge l’azienda e che è strettamente collegato ad una serie di elementi come le relazioni, le competenze acquisite, la storia e il rapporto con alcuni aspetti fondamentali del fare impresa tipo la tecnologia, l’innovazione, la formazione e tanto altro. ll percepito rappresenta la sintesi dei motivi per i quali i clienti, i fornitori e i dipendenti scelgono un’impresa piuttosto che un suo concorrente. In tutto questo la comunicazione è il driver principale che collega l’impresa con i suoi Stakeholders ed alimenta costantemente lo stesso percepito. In altre parole rinnova la possibilità di essere scelti. Tuttavia occorre prestare molta attenzione perché il tutto si regge su equilibri molto precari e quindi si rende necessario verificare continuamente la coerenza tra ciò che l’impresa sta comunicando, il contesto competitivo e l’identità aziendale. In altre parole significa comprendere come ogni azione compiuta da ogni singolo operatore in azienda, incida sul suo percepito. Se ci fermiamo un attimo a riflettere non è difficile raggiungere questa conclusione. Capita regolarmente a tutti noi di stare al telefono ed un istante dopo la chiusura della telefonata esprimere un giudizio sulla stessa. Se stavamo parlando con una persona di nostra conoscenza potremmo esprimere giudizi sul suo umore e/o su gli altri aspetti emersi durante la telefonata. Se, invece, dall’altra parte della cornetta c’era uno/a sconosciuto/a, durante la telefonata avremmo sicuramente prestato attenzione al suo tono di voce, se aveva inflessioni dialettali, se parlava a voce alta, se possedeva un linguaggio forbito o utilizzava espressioni dialettali ecc…

 Ad ogni modo, al termine della telefonata esprimeremo ugualmente un giudizio di sintesi. Stessa cosa quando riceviamo una consegna da parte di un nostro fornitore; valutiamo la qualità dell’imballo, la puntualità, se il consegnato è conforme all’ordine e così via. Continuiamo ad esprimere giudizi anche quando riceviamo mail, messaggi Whatsapp, visitiamo siti internet, pagine Facebook o altri social. Non smettiamo di esprimere giudizi neanche nei confronti di scelte strategiche operate dai nostri clienti, fornitori e collaboratori. Esprimiamo giudizi anche quando valutiamo i bilanci, il business plan o il cash flow di un nostro fornitore. Stessa cosa dicasi per i nostri clienti. A volte sospendiamo il giudizio per non farci condizionare ma quella prima sensazione spesso ci rimane in testa. Fateci caso!
Se capita questo a noi, per quale ragione i nostri Stakeholders dovrebbero comportarsi in modo differente? Del resto, il percepito in via generale viene proprio definito come qualcosa che avvertiamo tramite i nostri sensi. Ne segue che, quando parliamo di questioni d’impresa, dobbiamo entrare nell’ordine di idee che qualsiasi azione operata dall’imprenditore/manager o dai suoi collaboratori, produce effetti sui sensi dei propri Stakeholders. I bilanci e i relativi indici di un’impresa che sono la sintesi di cosa la stessa ha realizzato in passato non incidono, quindi, soltanto sul percepito delle banche
e/o di ipotetici investitori, ma anche su quello dei Fornitori, Clienti e manager che stanno considerando l’opportunità di intrattenere rapporti con la stessa impresa. Evidentemente, incide molto anche la progettualità che l’impresa ha intenzione di sviluppare per il prossimo futuro, in quanto i bilanci ci parlano molto del passato, ma poco rispetto a quanto si ha intenzione di fare. È tuttavia abbastanza paradossale che molti imprenditori vogliano curare in prima persona ogni aspetto della vita dell’impresa: dal ciclo di produzione, alle vendite, alla gestione dei dipendenti, la cura degli imballi ed altro e poi trascurino i dati di bilancio e gli andamenti degli indicatori economico/finanziari considerandoli materia per i cosiddetti esperti. Errore grossolano! Se si è così attenti all’estetica, si deve sapere che Cerved, Banca Italia ed altre società sono le “vetrine” più importanti nelle quali un’impresa espone i propri prodotti in quanto tutti gli Stakeholders possono conoscere/consultare i conti e valutare i rischi a cui la stessa impresa si espone. La letteratura è piena di imprese passate velocemente da una situazione solida sia dal punto di vista economico/finanziario che del proprio percepito, ad una situazione che le ha poste fuori dal mercato. A tal proposito riporto un esempio piuttosto conosciuto. Molti di noi ricorderanno il BlackBerry, il famoso cellulare prodotto dalla società canadese RIM (Research in Motion) che nel 2013 diede il nome anche alla stessa azienda. Lo scorso anno la BlackBerry ha chiuso i battenti. Rileggere la storia di questa impresa è molto utile per comprendere il significato ed il valore del percepito. Il BlackBerry era nato nel 1999 e con il tempo era diventato uno status symbol o meglio un “arto”, come si usa dire in questi casi, per tutti coloro che operavano nel settore del business. Per avere una misura di quanto il mercato lo apprezzasse è sufficiente ricordare che, il titolo RIM, venne quotato in borsa l’11 settembre del 2006 con un valore iniziale di 26,50$ per azione e raggiunse quota 133$ il 7 novembre del 2007 (era già uscito l’iPhone). Un incremento impressionante grazie ad un ottimo percepito aziendale ottenuto attraverso una comunicazione efficace e rafforzata da tante azioni concrete quali lo sviluppo di nuovi prodotti sempre più performanti, ricerca ed innovazione continua ed accordi commerciali con le più prestigiose compagnie telefoniche di tutto il mondo. Tuttavia il 2007 è stato un anno particolare per il mondo della telefonia mobile in quanto venne introdotto sul mercato l’ iPhone. Il 12 febbraio dello stesso anno, dopo l’annuncio operato da Steve Jobs dell’uscita sul mercato “dell’oggetto” che rivoluzionerà la telefonia mobile, Jim Balsillie, co-amministratore delegato di RIM, disse ad un giornalista della agenzia Reuters: “Doesn’t see Threat from Apple’s iPhone”. Jim Balsille, quindi, pensava che l’arrivo dell’iPhone non sarebbe stata una minaccia, ma semplicemente l’ingresso di un altro concorrente nel mercato degli smartphone. Le cose non andarono esattamente come previsto da Jim Balsillie e non solo a causa dell’iPhone. Infatti, si ruppe qualcosa nel sistema azienda. I nuovi prodotti RIM non riuscirono più a sfondare; si crearono dei disservizi alla clientela che era abituata a performance di assoluto livello; gli azionisti erano preoccupati delle continue oscillazioni del titolo e tanto altro. In definitiva, da assoluta eccellenza, la RIM iniziò ad essere messa in discussione dallo stesso mercato. Il suo percepito era cambiato ma non solo perché era entrato nel proprio mercato un altro concorrente, ma perché le attività quotidiane non alimentavano sensazioni positive come in passato. Il terribile disservizio creato ai propri clienti nel 2011, che li lasciò senza mail per cinque giorni, non era stato causato da un sabotaggio ma da un sovraccarico di mail che giungevano sui propri terminali e non era neanche la prima volta che accadeva, quindi non difficile da prevedere. Il fatto di aver smesso di cercare soluzioni innovative, ad esempio, sulla durata e vita delle batterie che era stato il proprio cavallo di battaglia iniziale, non poteva essere legato alle capacità comunicative di Steve Jobs (l’iPhone era più performante da questo punto di vista); l’aver smesso di fare una vera innovazione e di limitarsi a degli aggiustamenti e restyling dei prodotti esistenti, aveva prodotto ritardi nei confronti del mercato e quando i loro ricercatori furono costretti a perseguire la strada del touchscreen si accorsero di dover rincorrere e che il gap di ritardo accumulato era diventato importante. Le organizzazioni, grandi o piccole che siano, abituate a mettere in fila strisce di successi, disimparano a gestire le situazioni di difficoltà e quando accade, generalmente, i loro dirigenti cominciano a mettersi alla ricerca di colpevoli per attribuire colpe, ma così facendo ritardano ulteriormente l’individuazione delle soluzioni. Prima del baratro, normalmente, i gruppi si rinsaldano e si torna a lavorare con spirito di squadra. Tuttavia, spesso è troppo tardi. Le nostre PMI per un lungo periodo hanno scontano un gap culturale non di poco conto nel dare il giusto valore al percepito. In molti casi è prevalsa la logica: “mio nonno faceva così, mio padre faceva così ed io continuerò a fare così”. Oggi, invece, mi sento di dire che in alcuni casi questo gap è stato recuperato; in altri deve essere ancora fatto e in altri ancora si sta esagerato. Nel senso che si sta puntando eccessivamente sulla comunicazione e non si presta, a mio modo di vedere, la giusta attenzione a fare in modo che il differenziale tra quanto comunicato e la realtà delle cose non sia troppo evidente. Puntare troppo sull’effetto wow per attirare clienti, fornitori e collaboratori può diventare controproducente laddove non si riuscisse ad essere coerenti sul fronte delle risposte. Occorre non eccedere con quanto si apprende, in taluni corsi di formazione che tendono ad evidenziare l’importanza della comunicazione e sminuire il saper fare manuale delle cose. Spesso ci si dimentica che il percepito passa attraverso i sensi dei nostri Stakeholders e se li trattiamo da “rompiscatole” o peggio,  se ne accorgono. Molte imprese utilizzano i loro canali di comunicazione per affermare quanto siano Customer oriented, di quanto tengano ai loro collaboratori e ai loro partner in genere, ma spesso sono affermazioni che non trovano riscontro nei comportamenti concreti e, quindi agli occhi dei loro interlocutori quelle affermazioni si trasformano in una presa in giro ed archiviate nella propria mente come il frutto di una cultura dell’apparire piuttosto che dell’essere.
L’imprenditore/manager, oggi, non può non considerare l’effetto Covid e la necessità di adeguare la comunicazione della propria impresa a questo nuovo contesto. A mio modo di vedere, occorre non eccedere con il vecchio pensiero dei comunicatori di un tempo, vale a dire che con il giusto modo si poteva dire tutto. Il giusto modo è utile per far arrivare meglio il messaggio, ma se non ci sono i contenuti il messaggio è nullo. Soprattutto di questi tempi! Evitiamo di ripetere in continuazione che stiamo “ripartendo” e che nonostante il Covid garantiremo i nostri servizi. L’abbiamo fatto? Siamo ripartiti? Bene ora basta ripeterlo! Torniamo a lavorare sul sogno! Raccontiamo, piuttosto i contenuti della nostra progettualità futura, ma soprattutto evitiamo di dichiarare qualcosa che non trovi riscontro nella realtà! In definitiva il valore del percepito per un'impresa è pari al valore della stessa perché rappresenta la sintesi agli occhi dei propri Stakeholders tra ciò che dice e ciò che fa. E’ qualcosa che si conquista con il tempo non avviene dall’oggi al domani e per tale motivo necessita di un progetto dedicato; non solo per la realizzazione ma anche per la sua manutenzione. Ciò che è stato fatto in passato è stato fatto e non offre nessuna garanzia per il futuro considerato il contesto competitivo attuale. Se per qualsiasi ragione, dovesse diventare negativo agli occhi dei propri Clienti, ma più in generale di tutti i suoi Stakeholders, non basteranno i denari per farlo tornare positivo. Se i clienti di un’impresa non la ritengono più capace di onorare gli ordini (cambio di percezione), smettono di inviarne.Sappiamo tutti che senza ordini/vendite non si va molto lontano. Allo stesso tempo se il percepito dovesse minare la fiducia dei fornitori e dei collaboratori la stessa impresa si troverebbe in difficoltà ad evadere gli ordini e quindi si raggiungerebbe la stessa posizione di criticità che, se non corretta, la potrebbe mettere a rischio di permanenza sul mercato. E’ possibile misurare e monitorare il percepito ed evitare di arrivare al punto di non ritorno? Assolutamente sì! Tuttavia, dipende molto da quanto la “cultura del dato” sia diffusa in azienda e quanto l’imprenditore/manager e i suoi collaboratori siano disponibili a cambiare i propri habitus mentali. Tanto più sarà diffusa una tale cultura, maggiormante sarà possibile aggiustare le cose. In altre parole, l’adagio prevenire è meglio che curare si adatta perfettamente a tutte le tematiche del percepito. Mi fermo qui per non risultare eccessivamente lungo. Evidentemente per entrare maggiormente in dettaglio sulle questioni del percepito sarebbe opportuno analizzare un caso concreto per comprendere l’operatività delle tecniche di rilevamento e della misurazione dello stesso. Qualora ci sia interesse, mi riservo di farlo in un prossimo post.
Buona riflessione!

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