domenica 25 aprile 2021

Dalla Passione alla Professione

 di Mauro Rapa

Negli incontri del martedì, per la serie “Il mondo che vorrei”, continua la nostra attività rivolta innanzitutto a favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro attraverso questi scambi di esperienze che, ne siamo convinti, rappresentano  uno dei migliori metodi incentivanti e propedeutici per le scelte che si andranno a fare. Sono incontri comunque importanti anche per chi non è più propriamente giovane, ma accrescere le proprie conoscenze è sempre un arricchimento.

Il tema proposto in questo incontro nasce dalla sintesi di quello precedente, dove sono emerse le tre famose parole chiave: Passione, Competenza e Cultura.


Elaborando con il Direttivo queste tre parole, abbiamo impostato la scelta del tema della serata e dei relatori, verso un concetto tanto chiaro quanto inconfutabile: Dalla Passione alla Professione.

Martedì 20 aprile, alle  ore 21, in videoconferenza su Zoom, abbiamo incontrato quattro giovani ragazzi che, nell’impostare la loro attività, hanno confermato che solo attraverso la passione si arriva alla Professione, o perlomeno questo è vero nella maggioranza dei casi.

In sintesi i concetti e le situazioni raccontate dai relatori:

- Daiana Capoferri. Titolare "Daiana Atelier". Ci ha tenuto a sottolineare che la sua è una passione nata tra le mura domestiche, dove, dal babbo alla mamma ai fratelli, tutti e fin da piccoli, hanno fatto ed ereditato il “gusto” di lavorare a mano. Orafo il padre, Orafa la sorella, Orologiaio il Fratello e Parrucchiera nonché tutto fare, la mamma. Come poteva Daiana non amare il lavoro manuale ? Anche nella scelta degli studi, ha proseguito su questo filone portandosi dietro questa sua innata vena creativa favorita dall'ambiente famigliare dove ha sempre prevalso l'amore nel vedere nascere dalle proprie mani qualcosa di originale e rappresentativo, per il Cliente ma, soprattutto per se stessi. Daiana inoltre, completa il suo profilo grazie al valore aggiunto che le dà l'avere un  grande cuore ed una spiccata sensibilità, che oltre alla passione e alla competenza, ne fanno un ‘artista completa capace di grande empatia ma anche una valida Imprenditrice o, se volete, una valente Artigiana.

 - Danilo Sfuggiti. Prodotti Biologici. La storia di Danilo invece è diversa perché al momento, la sua è solo una passione, ma si è capito che non vede l’ora che tutto si trasformi presto anche nella sua Professione futura. L’origine però è sempre la stessa: l'ambiente famigliare, nello specifico,  il nonno. Fin da piccolissimo, Danilo lo seguiva, lo imitava e ne ricavava non tanto consigli ma passione. Il nonno era un tutto fare e questo è rimasto a Danilo. Lui è Perito Meccanico, ma le pareti dell’ufficio gli stanno strette. Sceglie di abbandonare questo tipo di lavoro ma ama l’aria aperta e ora fa il muratore anche se  non è quella la sua vera passione. Come il nonno, lavora i cesti, il legno, i mobili, insomma tutto ciò che è creativo e permette di esprimere manualità.   Viene attratto dal mondo delle Api ma non si accontenta e quando ha l’occasione di ereditare un po’ di terreno, ecco che esplode in lui la vera passione: l’agricoltura Biologica.

Ci sta provando, sa che le difficoltà sono tante, teme più quelle burocratiche che quelle che derivano dal vecchio detto “la terra è bassa”. Non si ferma, va avanti e sicuramente, avendo una passione sfrenata per tutto ciò che nasce dalle sue mani , presto ne farà una Professione. Questa è la sua aspirazione.

 - Silvia Bruscia. Avvocato Civilista.

Così si racconta: "La passione per la mia professione nasce sin da piccola poiché amavo leggere, studiare e contestare sempre tutto, perciò, finiti gli studi universitari presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino nel 2011, con votazione di 110/110, ho iniziato la pratica forense in uno Studio Legale in Pesaro. Successivamente, ho anche ottenuto il Diploma di specializzazione per le professioni legali, onde aprirmi anche la possibilità della carriera in magistratura, ma in realtà ho continuato nel mondo dell’avvocatura.

Così nel 2015 ho sostenuto e superato l’esame di avvocato e nel 2017 mi sono iscritta all’Ordine degli Avvocati di Pesaro come libera professionista.

Per circa due anni, mi sono formata professionalmente collaborando con Studi legali del riminese e infine nel 2019 ho deciso di fare il grande passo e mettermi in proprio. Attualmente ho il mio Studio, sito in Colli al Metauro alla Via Roncaglia n. 28 e mi occupo di diritto di famiglia: ho incarichi dal Tribunale di Pesaro come amministratore di sostegno, tutele legali e curatele, ma lavoro anche con privati per separazioni/divorzi, revoca e/o riduzione assegno di mantenimento ecc.. Inoltre, mi occupo anche di “obbligazioni e contratti” (es. recupero del credito, sfratti, pignoramenti mobiliari, presso terzi o immobiliari..), offro consulenza stragiudiziale (contrattualistica, diffide, permessi di soggiorno..) e, infine, ho dato disponibilità al Tribunale di Pesaro ad assumere l’incarico di curatore nei fallimenti e di delegato alla vendita nelle esecuzioni immobiliari.

Sono una ragazza determinata e tenace e credo in ciò che faccio, mettendoci tutta me stessa e, anche se la strada è in salita, come dico sempre, la passione muove tutto perché “volere è potere”.

- Stefano Moricoli. Titolare Running Center. La storia di Stefano è veramente emblematica per  il tema della serata. Lui è un podista e da tanto tempo partecipa alla vita sportiva ed Associativa della gloriosa Società Podistica d Lucrezia. Vi partecipa come praticante del podismo ma anche come dirigente organizzatore di eventi e dopo i necessari studi, consegue anche il titolo di Istruttore di Atletica Leggera.

Nel cuore, anche Lui ha questo sport. Come tanti, per non dire come tutti, bisogna pur vivere e non solo correre e Stefano lavora con importanti ruoli in una società di Fish Food. La passione però prende il sopravvento, la moglie poi lo asseconda , anzi lo stimola e Stefano si butta in un impresa che vista da lontano, rasenta la follia. Oggi che gran oarte degli acquisti si fanno on-line, oggi che la grande distribuzione la fa da padrona, Lui crea un gioiellino: il Running Center.  Ci mette tutta la passione, tutta la sua competenza che gli deriva dall’essere un atleta ed il gioco è fatto. Da lui non si acquista semplicemente una scarpa, ma si studia il piede, la postura e tutto ciò che serve per dare il meglio di se stessi e di ricavarne i maggiori benefici. Ovviamente non solo scarpe ma tutta la filiera del Running. Oggi la sua attività va a gonfie vele, a conferma del fatto che la Passione e le Competenze, se ben dosate, danno e daranno sempre i loro frutti.

Segue un interessante dibattito tra i numerosissimi intervenuti al collegamento, dove a domande per i relatori, sono seguiti consigli soprattutto relativamente alla gestione della propria attività e delle difficoltà oggettive del momento e i relatori sembrano tutti molto reattivi anche a questi stimoli.

Sono emerse altre due parole chiave che elaboreremo nei prossimi incontri:

l’Inclinazione e l’Ossessione.

L’Inclinazione che precede la Passione, è un dono di natura e se c’è va incanalata verso la passione ed i successivi risultati.

L’Ossessione è tipica di chi, sapendo di avere una Passione, ha paura di non farcela o di sbagliare dal punto di vista tecnico, commerciale e gestionale.

Tanto materiale per i nostri prossimi incontri del Martedì.

La serata si conclude con un grande “in bocca al Lupo” ai giovani appassionati del proprio lavoro e l’appuntamento per tutti, Soci e Amici LVDS, è per l’Assemblea Ordinaria di Martedì 27 aprile, alle ore 21, sempre su Zoom, per approvare il Bilancio Consuntivo del 2020 e quello previsionale del 2021.


Per chi volesse rivedere la registrazione della serata è possibile accedere cliccando sul link qui di seguito:

Dalla Passione alla Professione 20 Aprile 2021

mercoledì 21 aprile 2021

La Vesperbild di Cartoceto

 di Giorgio Battisti - Architetto e Storico dell'Arte


Ciascuno di noi osserva il mondo e ne ha coscienza in base al bagaglio di cultura, sapere ed esperienza che ha accumulato nella propria vita. Su questo formiamo le nostre opinioni, esprimiamo giudizi e modelliamo le nostre esistenze. Ho iniziato ad occuparmi di arte per cercare di non rimanere completamente in silenzio davanti all’oggetto artistico, ma di avere almeno le nozioni di base per la sua comprensione. Con questo spirito voglio iniziare la rubrica parlando di un piccolo oggetto che si conserva all’interno della chiesa della Pieve dedicata ai Santi Pietro e Paolo. Si tratta di una scultura lignea composta di due figure: la Madonna seduta che ha sulle proprie ginocchia il corpo esanime di Gesù, morto la sera del venerdì santo. La dimensione verticale della figura di Maria si contrappone a quella orizzontale del corpo rigido di Gesù. 
L’episodio non è riconducibile agli avvenimenti descritti nei vangeli, neanche sui testi apocrifi che raccontano le vicende della vita di Cristo. Una invenzione forse derivante da una interpretazione popolare di ciò che potrebbe essere accaduto dopo la deposizione di Gesù dalla croce. L’iconografia di questo tipo di scultura devozionale è nata nel XIV secolo in Germania ed è identificabile con il termine VESPERBILD (letteralmente "immagine del Vespro"). Il soggetto era legato alla pratica devozionale di confrontarsi con i dolori della Passione, di Maria e Gesù, compatendone le sofferenze in modo da partecipare al sentimento religioso delle feste cristiane (soprattutto la Pasqua) e trovare conforto per le sofferenze proprie del fedele, attraverso l'immedesimazione e la preghiera ispirata. Conobbe una notevole fortuna anche in alcune regioni italiane; dapprima in Friuli, attraverso la Slovenia, poi nel centro, Marche e Umbria, già a partire dalla fine del Trecento, arrivando in pieno Rinascimento anche a Roma. Ispirò molti capolavori dell’arte italiana: dai VESPERBILD nacque infatti il tema iconografico, noto col nome di Pietà, che numerosi maestri del XVI secolo dipinsero e che Michelangelo rese sublime nel marmo con la PIETA’ conservata all’interno della basilica di S. Pietro. La VESPERBILD della chiesa della Pieve ha le seguenti caratteristiche: la Vergine Maria con la mano destra sostiene il capo del Cristo mentre il braccio sinistro è piegato quasi a novanta gradi con la mano protesa in avanti a sottolineare il sacrificio del figlio per la redenzione dell’umanità; ha la veste rossa con decorazioni in oro nei polsini e nel girocollo e il manto blu che lascia parzialmente in vista i capelli; è seduta con il capo eretto, lo sguardo fisso e triste verso il corpo di Gesù adagiato sulle sue ginocchia e ormai irrigidito dalla morte, con il costato ferito e il corpo martoriato dalla crocifissione. Il braccio destro completamente abbandonato è quasi perpendicolare al terreno mentre quello sinistro è adagiato sopra il corpo all’altezza del panno che copre le nudità del Cristo. Sulle mani e i piedi sono bene in vista i buchi dei chiodi. Le dimensioni della scultura sono le seguenti: altezza cm 72, larghezza cm 45 e spessore cm 37. I colori della veste della Madonna sono quelli classici: veste nelle tonalità del rosso che simboleggia la terra e manto nelle tonalità del blu/azzurro ad indicare il cielo a sottolineare la doppia natura, terrestre e divina del personaggio.
Come riportato nel libro “CARTOCETO i tesori ritrovati” a cura di Claudio Vagnini e Olga Valeri, nell’arco temporale che va dal 2000 al 2008 è stata oggetto di un accurato restauro che ha riportato l’opera all’antico splendore cromatico. Questi oggetti che al giorno d’oggi consideriamo “artistici” all’epoca erano creati in serie, a scopo devozionale, da botteghe artigianali specializzate.

sabato 17 aprile 2021

La pulenta in t’la panèra

E’ ritornato l’inverno, per questo proponiamo un piatto tipico dei nostri territori.

Per la primavera, aspettatevi ricette fresche e sfiziose.

Preparazione della Polenta:

Litri 1 di acqua ogni 200gr di polenta, sale grosso qb.


Mettere polenta e sale nell’acqua fredda e mischiare ogni tanto fin quando prende bollore, poi, girare continuamente fin quando la polenta non è cotta (45 minuti circa).

Se la polenta si indurisce troppo, aggiungere dell’acqua bollente o se è troppo liquida un po’ di farina di polenta.

Per il sugo:

Costine di maiale tagliate a pezzetti, salsicce fini, carne macinata, passata di pomodoro, brandy.

Fare il soffritto con olio extra vergine d’oliva e cipolla, poi aggiungere le costine e farle rosolare; unire le salsicce tagliate a pezzi, lasciarle soffriggere, poi aggiungere la carne macinata e continuare la cottura. Versare un goccio di brandy e farlo evaporare; unire sale e pepe e aggiungere passato di pomodoro e acqua. Il tutto deve sobbollire per minimo 1 ora e mezza.

La Panèra:

Mettere la polenta al centro della panèra, poi in due persone stendere la polenta e distribuirla in uno strato uniforme.

Con un cucchiaio si fa una riga tutta intorno a 2 cm. dal bordo in modo che il sugo non fuoriesca. Distribuirlo sopra uniformemente e alla fine una bella spolverata di parmigiano.

La polenta si mangia con il cucchiaio perché “la pulenta in t’la panèra, va strascinéta”.

Vari momenti della preparazione


Buon Appetito!


domenica 11 aprile 2021

Mammane

 di Giovanni Pelosi

foto di Patrizia Renzoni

Chi aiutava le donne ad abortire clandestinamente era definita “mammana”, una figura un tempo presente un po’ ovunque nella nostra provincia e una statistica del 1808 offre il seguente prospetto:

                           Medici                    Chirurghi                     Mammane

Fano                          3                               2                                 2

Cartoceto                   1                               1                                  1

Saltara                       1                               1                                  1

Serrungarina             1                                /                                   1

 Mentre per le prime due categorie viene precisato un quadro puntuale e analitico, per la terza si sottolinea che “esercitano tale professione senza però conoscere l’ostetricia per principi”. Il numero di quelle che “illegittimamente” svolgevano tale attività “era considerevole” e ben oltre l’indagine che ne era stata avviata. L’esame dei verbali della Cancelleria Criminale, Tribunale religioso, consente di poter dire che si è perlopiù in presenza di “praticone”; di chi riteneva di avere una certa conoscenza del corpo femminile anche attraverso gli insegnamenti avuti in casa. Così è stato per Petronilla che aveva iniziato “l’arte sotto la sotto la direzione della di lei madre ormai vecchia e cagionevole”. Alle mammane si presentavano quelle donne che l’ignoranza, la miseria, le condizioni di vita, le avevano portate a prostituirsi, non mancavano quelle che avevano subito stupri, né quelle che si abbandonavano a dubbie frequentazioni e pratiche disoneste.

Non era solo il Parroco che vigilava sulla moralità dei suoi parrocchiani, ma anche gli stessi abitanti del luogo “stante le cattive pratiche degli ammogliati nonché dei giovani per il cattivo esempio che davano”, per cui da parte del Vescovo venivano emanati decreti di allontanamento dal paese, come più volte accadde a Ripalta e non solo. Cosicché dalle Mammane venivano portate anche donne provenienti da altri territori.

Antonia e Petronilla, due note mammane di Fano nella prima metà dell’800, riferiscono di giovani donne che si erano rivolte a loro provenienti da Novilara e Roncosambaccio. Alcune di esse appena partorito avrebbero voluto avrebbero voluto ritornarsene subito a casa per timore che i genitori o i vicini potessero scoprire quanto loro accaduto , ma le condizioni in cui si trovavano, lo stato “infermiriccio” o la loro debolezza non sempre permettevano lo spostamento. Sempre Antonia racconta l’arrivo nella sua casa di una donna incinta accompagnata dalla madre; partorirà una bimba che alle ore 5 di notte, avvolta in panni laceri consegnò lei stessa alla ruota e ricevette come ricompensa e per il suo silenzio 15 baiocchi.

La mammana di S. Giorgio riferisce di una donna incinta che le chiese di assisterle nell’imminenza del parto avvertendola che se la creatura fosse stata sufficientemente robusta non l’avrebbe fatta battezzare nel paese, ma in un luogo più lontano e che l’avrebbe poi portata nel brefotrofio.

Per ben vivere o morire

 Da quanto detto nella prima parte di questa ricerca sul brefotrofio di Fano, si può ritenere che, pur nelle condizioni di miseria e di stenti, le esposte esterne godevano di una certa autonomia potendo in qualche misura disporre di se stesse e operare delle scelte, quelle che invece rimanevano all’interno del Conservatorio fino a che non venissero adottate o richieste come spose, conducevano una esistenza regolata da norme e consuetudini radicate nel tempo. È così possibile fornire un quadro sull’organizzazione e funzionamento del brefotrofio.

Era la campana a scandire tutti i momenti della loro vita quotidiana così come avveniva nei conventi. Al suo suono si dovevano rapidamente alzare dal letto e chi non obbediva prontamente andava incontro a varie sanzioni: dal rimanere a pane e acqua e senza pietanze, alle ulteriori conseguenze derivanti alla relazione sull’accaduto inviata ai responsabili del Conservatorio. Le esposte disponevano di mezz’ora di tempo per vestirsi e assestare il letto; il tutto doveva avvenire in silenzio e con sollecitudine. L’abito che indossavano doveva arrivare fino al collo, privo di nastri, fettucce o altri ornamenti mondani, le maniche fino ai polsi e la gonna fino alle scarpe perché il tutto doveva essere conforme al decoro di chi era sotto la protezione di Maria Santissima e di San Michele e improntato alla modestia e all’edificazione non solo delle proprie compagne, ma anche degli estranei. Poi in ginocchio davanti al proprio letto, tutti insieme ad alta voce, seguendo l’avvio delle preghiere della più anziana fra loro si rivolgevano a Dio anche per averle conservate in vita quella notte e perché protegga i benefattori dell’istituto.

Era ancora la campana che al secondo tocco le invitava in chiesa dove per mezz’ora si dedicavano all’orazione mentale e all’ascolto della Santa Messa.


Fano, Chiesa di San Michele
Dopo la funzione religiosa si portavano nelle varie stanze del lavoro e la priora, a seconda dell’età e capacità delle esposte assegnava specifici compiti che riguardavano soprattutto il ricamo e la tessitura. Non dovevano restare mai sole, né parlare in modo da non essere udite da chi aveva avuto questo specifico compito dalla superiora. Non era permesso ad alcuna di accostarsi alle finestre né di colloquiare con persone esterne “se non quello di buon nome e reputazione”. Al momento del pranzo e della cena, se qualcuna non fosse stata puntuale perdeva la pietanza se era la prima volta; se si fosse ripetuto doveva aspettarsi un ulteriore “castigo”.

Non mancano disposizioni volte a tutelare la loro moralità e il decoro per cui nel dormitorio erano distribuite in modo che ogni tre o quattro letti vi fosse una loro compagna tra le più esemplari a cui spettava il compito di controllare le vicine in modo che osservassero le regole della modestia nel vestirsi e spogliarsi. Una norma infatti contemplava che “ognuna si spogli in modo che resti sempre coperta onde non offenda li occhi delle altre, perciò sotto i lenzuoli si levi ciò che è necessario per mantenere questa decenza.  E così nel vestirsi sotto i lenzuoli si ponga ciò stesso ed allora solo ne sorta”. Tali e altre regole dello stesso tenore che nelle loro impostazioni si rifacevano a quelle tipiche, anche se ancora più restrittive, della clausura, ma difficilmente erano seguite alla lettera se in un “Promemoria che si esibisce a Monsignor Vescovo” viene rilevato che “le orazioni in cui si occupano le giovani in comune vengono fatte senza metodo e ordine”. Così pure in chiesa avveniva che non vi era troppo silenzio ma “regna una gran irriverenza e vi sono delle giovani che disturbano le altre al punto di accostarsi ai sacramenti. Le esposte non rispettavano a detta dei superiori, l’ordine di portare i capelli come nel conservatorio Pio di Roma e cioè “legati insieme in una sola treccia dietro con fettuccia nera o scura alla semplice e tutte allo stesso modo proibendosi rigorosamente toppe, ricci, cerette, fiori e qualunque altra sorte di vanità; si vieta ancora a qualunque il tener presso di sé forcinelle , cipria o specchio”. Anche la disciplina interna non doveva funzionare al meglio se i giudici, quando andavano in visita al Conservatorio avevano in mano un bastone di canna d’India per controllare l’andamento comportamentale delle giovani. Si trattenevano in conversazione con la governante e con qualche altra esposta per sapere se qualcuna avesse disobbedito o non rispettato le più anziane e quando la canna d’India si alzava “minacciando una delinquente di qualche piccolo difetto, si aggrettava la carne a tutte dal timore”.

L’oggi

Torna la “Ruota” con il suo carico di neonati . Il fenomeno della pratica dell’abbandono non ha conosciuto arresti nel corso dei secoli, anzi, nell’Ottocento si verificò un aumento costante favorito dalla diffusione delle attività manifatturiere che richiedeva una presenza intensa delle donne. Da allora le “ruote” si sono moltiplicate in Italia nonostante la definitiva abolizione nel 1923 sotto il fascismo e anche in altri paesi europei. Una risoluzione dell’ONU del 2010 le mise in discussione per la possibilità di essere un incoraggiamento all’abbandono. La legge italiana in materia di assistenza a partire dai neonati è una delle più avanzate nel mondo dal momento che prevede di poter partorire in anonimato e garantisce alle donne non solo di essere assistite nella fase del parto. Ma anche di non essere perseguita nel caso di non riconoscere per proprio il nascituro; in questo caso subentra l’istituto dell’adozione da parte del Tribunale dei minori a meno che entro due mesi non abbiano un ripensamento a riguardo. In Italia si calcola che ogni anno circa 400 sono i casi di bambini non riconosciuti alla nascita e, secondo l’ISTAT, 700 quelli tra 0 e 3 anni a rischio di malnutrizione e malattia compresi quelli che non vengono depositati alle ruote.

Oggi vi sono modalità di accoglienza indubbiamente diverse, meno traumatiche e dagli antichi palazzi le ruote si sono spostate negli ospedali garantendo la salute del neonato e la non rintracciabilità della madre se questa è la sua intenzione. Senza essere viste le donne possono depositare in una culla riscaldata i figli che subito vengono presi in cura dall’apparato medico. 


Nonostante queste garanzie restano numerosi gli abbandoni dovuti a molteplici cause, dalle disagiate condizioni economiche alla povertà culturale, dalla marginalità sociale alla non cittadinanza italiana, dal pericolo di perdere il lavoro a violenze sessuali, dai parti in casa alle gravidanze nascoste.

Le nuove ruote chiamate anche “culle per la vita” hanno posto un grande freno a infanticidi, ai nati abbandonati come un tempo per strada, davanti alle chiese o, ai nostri tempi, addirittura gettati nei cassonetti. La decisione dell’abbandono, quando si ha a che fare con casi di così grande precariato, piuttosto che spingerci ad una condanna morale verso queste madri, va considerata come una scelta responsabile per concedere ai propri figli la possibilità di trovare una famiglia che dia loro amore. Penso che sia giusto offrire loro, volontariamente, la scelta di lasciare i propri dati in un apposito registro in modo che diventati maggiorenni, se lo desiderano, possano rintracciarli come genitori.

Penso ad una società più solidale.

                                                                                                                         Fine

lunedì 5 aprile 2021

Il Mondo che vorrei!

 di Mauro Rapa, Presidente LVDS

La Via della Seta, ha iniziato un nuovo percorso conoscitivo, dal titolo il “Mondo che vorrei”. L’obiettivo è sempre lo stesso: la crescita culturale, sociale ed economica dei propri iscritti, con particolare attenzione ai Giovani.

Martedì 30 marzo 2021, alle ore 21 ed in videoconferenza, abbiamo incontrato il Presidente del Consorzio Olio DOP Cartoceto, Tommaso Maggioli ed il produttore Giordano Galiardi dell’Omonima Azienda Agricola Biologica.

I due relatori hanno illustrato le loro rispettive aziende, mettendo in risalto le peculiarità ed il valore per sé e per tutto il territorio, della DOP e del Biologico.

Alle loro relazioni, si è poi aggiunto un contributo di una special guest d'eccezione: Angela D’Angelo, che da Alcamo in Sicilia, ha portato la sua esperienza di titolare di una Azienda agricola di famiglia,  che da molti anni ha intrapreso la strada del biologico.

Sono intervenuti anche numerosi soci ed amici, che non citiamo singolarmente per non correre il rischio di dimenticare qualcuno.

Se volessimo sintetizzare la serata in tre parole potremmo dire:

-        Passione.

-        Competenza

-        Cultura

Rappresentano la premessa per rendere credibile un percorso di crescita del settore agricolo che, nonostante i dati incoraggianti di mercato e il favorevole regime di sostegno UE, presenta non pochi ostacoli.

Per un giovane che non possiede un’azienda di famiglia è difficile entrarvi in quanto ci sono diverse barriere all’entrata; gli operatori del settore trovano molte difficoltà a fare rete e a potenziare DOP e biologico; la presenza dei prodotti italiani sui mercati internazionali è molto inferiore rispetto al potenziale; eccetera. Il superamento degli ostacoli sarà possibile solamente se riusciremo a risignificare le tre parole suddette e renderle coerenti con il contesto che stiamo vivendo.

Per questo, la nostra Associazione, intende adoperarsi per far sì che possa emergere una rinnovata passione per il settore Agricolo; che si possano aumentare ed adeguare le competenze che servono per affrontare il nuovo contesto competitivo; ed infine, ma non da ultimo, considerato che fa parte del nostro DNA, contribuire ad una crescita culturale di tutti gli Operatori: siano essi Storici, Giovani oppure i prossimi a scendere in campo.