a cura di Roberto Budassi - Medico pediatra
Capitolo 3
Come ci si difende da una simile
catastrofe?
È scontato che le nostre
strategie devono per prima cosa impedire che il paziente raggiunga la fase 3,
che devono interrompere la progressione del processo patologico preferibilmente
già in fase 1 o in fase due iniziale. Occorre anche tener conto che
sostanzialmente tutti i pazienti in fase 1 si trovano a domicilio e che quando
un paziente viene ricoverato di solito si trova in fase 2 più o meno avanzata.
I pazienti in fase 3, a meno di una progressione particolarmente veloce, si
trovano già in ospedale da giorni. Infine è anche bene puntualizzare che sia l’ossigeno
e i sostegni alla respirazione in genere, necessari per superare le forme gravi
di difficoltà respiratoria, sia gli antibiotici, utilizzati per prevenire e/o
trattare le sovrainfezioni batteriche specie in ospedale, non hanno un ruolo
fondamentale al fine di bloccare il visus e arrestare la progressione della
malattia, pur essendo indispensabili per mantenere in vita il paziente in
attesa di un miglioramento.
Detto ciò, nella prima e seconda
fase possiamo utilizzare tutti i farmaci che si oppongono alla replicazione virale,
per esempio gli antivirali veri e propri, ma quelli testati finora hanno
mostrato un’attività da scarsa a discreta, ma non risolutiva. Sono tra l’altro
costosi e poco maneggevoli a domicilio e quindi spesso vengono utilizzati in
ospedale in fasi poco precoci. Il cortisone invece è un farmaco estremamente
importante per l’azione antinfiammatoria di cui è dotato ed è il farmaco
principale per ostacolare la progressione verso la fase 3 e come è noto può
essere somministrato anche a domicilio, come pure gli anticoagulanti utili
nella profilassi delle tromboembolie. In molti casi, ma purtroppo non sempre,
queste terapie sono in grado di arrestare la malattia e favorire la guarigione.
Nel caso di pazienti con
andamento più problematico, in fase 2 o 3 per rifarci al nostro schema, si è
molto discusso dell’utilizzo del plasma iperimmune, detto anche “convalescente”
perché ottenuto dal sangue di soggetti guariti, i quali ovviamente hanno prodotto
anticorpi verso il virus. È una terapia nota da circa un secolo e può anche fornire
in diversi casi un contributo decisivo verso la guarigione. Tuttavia il plasma
convalescente non è un “prodotto” standardizzato, in quanto non conosciamo la
qualità degli anticorpi che vi si trovano, essendo potenzialmente un miscuglio
diverso per ogni singolo donatore. È evidente inoltre che la disponibilità di
plasma dipende dal reperire donatori in numero adeguato e tra l’altro non tutti
sono idonei.
Superiamo i problemi del plasma iperimmune utilizzando in terapia i cosiddetti “anticorpi monoclonali”, con i quali mettiamo in atto terapie farmacologiche molto più efficaci e mirate. Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi tutti uguali e vengono prodotti in laboratorio da una unica linea cellulare con tecniche molto consolidate e vengono impiegati da molti anni nella terapia delle forme gravi di alcune malattie (artriti croniche, tumori maligni, per esempio). Hanno il vantaggio di poter essere prodotti in quantità illimitata, di essere molto puri, molto più attivi del plasma e quindi efficaci anche in quantità molto piccole. Quindi una volta individuato uno o più anticorpi in grado di bloccare il virus in una qualche fase della sua replicazione, lo si produce in laboratorio mediante una linea di cellule che genera solo quello. Nel nostro caso si è puntata l’attenzione sulla proteina Spike del coronavirus.
La proteina Spike costituisce appunto la “corona” e serve al virus per agganciarsi a speciali strutture che si trovano sulla superficie delle cellule, dette recettori ACE2, entrare nella cellula e dare il via all’infezione e quindi alla malattia. Un anticorpo che fosse capace di legarsi alla proteina Spike e quindi di impedire l’interazione tra la proteina Spike e il recettore ACE2 sarebbe potenzialmente in grado di impedire l’attivazione coronavirus e di conseguenza potrebbe arrestare o persino prevenire la malattia, se somministrato prima del contagio. Al momento vi sono numerosi anticorpi monoclonali in sperimentazione ed alcuni sono già stati utilizzati, ma non in Italia. I risultati sono molto promettenti (per esempio un monoclonale prodotto in Italia dalla Eli Lilly ha dimostrato di poter arrestare la progressione verso la fase 3 nel 70% dei casi) ed effettivamente quanto saranno entrati nell’utilizzo routinario (al momento si stanno facendo pressioni perché lo si faccia immediatamente) potrebbero rappresentare il fulcro della terapia, quando somministrati nelle fasi precoci della malattia.
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