di Pierluigi Venturi
Nel precedente articolo del 18 ottobre scorso avevo preannunciato un percorso che, partendo da alcuni elementi fondamentali del fare impresa, consentisse alle nostre PMI di operare azioni di recupero relativamente al gap di ritardo culturale accumulato in questi ultimi anni nei confronti di imprese di altri Paesi e alle nostre stesse potenzialità.
Il punto di partenza non può che essere la cultura del dato.
Il ritardo che molte imprese italiane hanno accumulato rispetto a questo elemento essenziale del fare impresa è piuttosto importante. Non si tratta di un peccato veniale, in quanto l’attuale contesto competitivo concede sempre meno possibilità di operare con dati approssimativi e, inoltre, un ritardo su questo punto è sinonimo di cattive interpretazione degli altri aspetti del fare impresa perché non misurati correttamente. Senza considerare l’effetto sulla necessità di scelte strategiche consapevoli e tempestive che lo stesso contesto competitivo richiede.
L’approccio di molti imprenditori di ditte artigiane e piccole imprese fino a pochi anni fa, era ancora concentrato sulla parte operativa del lavoro e si fidava dell’esperienza facendo calcoli molto approssimativi e con scarsa condivisione delle informazioni con il resto della struttura. In altre parole, non avevano la cultura del dato! Tutto questo produceva un grosso dispendio di risorse. Da qualche tempo, le marginalità, per molte micro imprese, sono diminuite in alcuni settori tradizionali e magari qualche attenzione in più la si può intravedere. Tuttavia non è facile inserire una cultura del dato in una realtà non abituata a farlo (nel prossimo articolo fornirò alcuni suggerimenti per poterlo fare).
Prima di entrare nel merito, voglio chiarire da subito tre punti chiave:
1. la cultura del dato è ciò che guida l’azienda verso la crescita, indipendentemente dalle sue dimensioni: sia che si parli di ditte artigiane, micro imprese o multinazionali;
2. i gestionali e gli strumenti di condivisione delle informazione utilizzati dall’impresa, da soli, non certificano la presenza di una cultura del dato. Occorre che tali informazioni e le metriche utilizzate dall’impresa per monitorare gli andamenti producano “discussioni” interne, altrimenti non si trasformano in cultura;
3. creare un sistema interno all’impresa orientato al dato (sia quantitativo che qualitativo) è il primo passo per per poter agire in modo strategico.
Avere dati attendibili ed in tempo reale è già un vantaggio competitivo per l’impresa che ci riesce rispetto a quelle che devono attendere elaborazioni contorte e non sempre affidabili. Ad oggi è più una questione culturale che tecnologica. Ovviamente la cultura del dato non è legata solo alla tempestività nella fornitura, ma anche ad un sistema valoriale collegato alla stessa fatto di trasparenza, responsabilità, condivisione, ma soprattutto, consapevolezza che i dati siano utili per eventuali ripensamenti della strategia. Il presidente di Infosys, colosso mondiale dell’informatica di origine Indiana, ripete spesso ai suoi collaboratori queste parole: "Di Dio ci fidiamo, ma tutti gli altri devono portarci dati".
Al fine di dare concretezza alla discussione, di seguito propongo un questionario preliminare per misurare il livello di cultura del dato presente all’interno delle nostre imprese. Il questionario prevede, in alcuni casi, domande multiple all’interno della stessa riga. Nel caso in cui una risposta dovesse risultare affermativa e l’altra negativa, dovremmo indicare “NO” come risposta di riga in quanto il “SI” lo utilizzeremo solo nel caso di tutte risposte positive. Si tratta di un banale esercizio al fine di comprendere il punto di partenza delle nostre imprese rispetto alla cultura del dato e su quali aspetti occorre che lavorino maggiormente. Evidentemente l’elenco delle domande può essere allungato e/o adeguato al singolo caso.
Questionario preliminare per verificare la cultura
del dato
1
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Hai consapevolezza di come impieghi il tuo
tempo? Sapresti fornirmi una prova per singola attività in 5 minuti?
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SI
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NO
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2
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Hai un sistema di programmazione delle
attività che indichi chiaramente ad ogni addetto dell’azienda cosa deve fare
ogni giorno? Il programma ha una visibilità mensile? Ci sono responsabili per
ogni dipartimento che controllano l’andamento dei programmi e risolvono i
relativi problemi?
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SI
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NO
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3
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L’azienda ha sviluppato una cultura al
feedback? Vengono forniti regolarmente i dati consuntivi delle attività
giornaliere da parte di tutti?
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SI
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NO
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4
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La tipologia di software utilizzato per la programmazione
delle attività consente la gestione delle informazioni qualitative, oltre che
quelle quantitative e per singolo progetto? Tali informazioni sono condivise
e reperibili in 5 minuti?
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SI
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NO
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5
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Esistono le distinte base? Sono fruibili da
tutti i dipartimenti aziendali oltre che
produzione/ufficio tecnico e approvvigionamenti? Sono disponibili in
forma da poter valutare in 10 minuti l’impatto di un’eventuale variazione di
prezzo o di quantità di alcuni componenti?
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SI
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NO
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6
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Hai consapevolezza della marginalità per
singolo pezzo/servizio prodotto?
I dati disponibili sono in un formato che
modificando alcune componenti che determinano il margine di dettaglio
(prezzi, quantità ed altro) puoi calcolare l’impatto sul budget e sui
preventivi in 10 minuti?
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SI
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NO
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7
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Nella tua impresa è stato formalizzato un
criterio per l’elaborazione dei preventivi? E’ chiaro chi siano le persone
autorizzate a farli? Riesci ad evaderli nella stessa giornata della richiesta?
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SI
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NO
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8
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Conosci i numeri del tuo mercato di
riferimento ( chi sono i competitors, come operano, la loro marginalità ed i
loro volumi)?
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SI
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NO
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9
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Esiste un sistema di monitoraggio? Il
controllo andamentale rispetto al budget viene fatto giornalmente,
settimanalmente, mensilmente ed annualmente?
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SI
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NO
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10
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Esiste un budget per singola
attività/risorsa/fatturato/segmento di mercato/cliente?
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SI
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NO
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11
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Hai consapevolezza dei fabbisogni finanziari
che il budget di attività precedente comporta? Hai una visione finanziaria
mensilizzata per almeno un anno e/o comunque 6 mesi per mettere in atto
azioni qualora dovessi affrontare uno
sbilancio?
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SI
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NO
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12
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Hai a disposizione degli indicatori/indici
sintetici in modo da poter verificare immediatamente se stai procedendo nella
giusta direzione? Sono condivisi con le persone interessate (vale a dire per
settore di riferimento)?
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SI
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NO
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13
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La circolazioni delle informazioni
relativamente ai budget è diffusa in tutti i settori aziendali? Esistono
comunicazioni/informazioni formalizzate
trasversali tra settori giornalmente?
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SI
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NO
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14
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Esiste un vero sistema qualità interno?
Fornisce con regolarità dati sulle non conformità rilevate?
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SI
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NO
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15
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E’ stato introdotto il modello delle 8D
per la risoluzione dei problemi?
L’azienda usa il modello delle 5S al fine di ridurre gli sprechi e i costi?
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SI
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NO
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16
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E’ stata introdotta una cultura/gestione del
rischio con lo sviluppo di scenari possibili?
Si usa la SWOT Analisys?
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SI
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NO
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La cultura del dato va ben oltre le 16 domande proposte nel questionario, in quanto ognuna di esse potrebbe prestarsi ad altre 16 domande e così via. Inoltre, una volta risposto e chiarito l’esistenza o meno di un determinato aspetto, occorre precisare il “come” viene gestito. Componente non secondario se l’obiettivo prefissato è quello di realizzare una cultura del dato. Si tratta di comprendere l’attitudine delle persone che operano in azienda e di come si pongono rispetto alla necessità di misurare ogni aspetto. Occorre una consapevolezza diffusa che il rilevare dati ed informazioni, rappresenta la conditio sine qua non per elaborare una strategia efficace e per poterla aggiornare, correggere o cambiare in corso d’opera. In definitiva, aver risposto tutti “SI” al questionario non ci indica che siamo a posto relativamente alla cultura del dato, in quanto l’indagine è appena cominciata. L’obiettivo del questionario è quello di stimolare ulteriori domande e verificare dove siamo carenti. Qualora avessimo riportato dei “NO” avremmo già materiale su cui lavorare. Sicuramente dovremmo anche ponderare le singole risposte: un “NO” alla prima domanda non può avere lo stesso peso di un “NO” all’ultima.
La cultura del dato è il punto di partenza perchè trasversale ad ogni aspetto aziendale. Ne segue che anche gli altri “elementi” che io considero fondamentali ai fini di una crescita culturale (concetto di Vantaggio competitivo, innovazione e formazione continua) sono soggetti a valutazioni sia quantitative che qualitative. Un ruolo importante alla diffusione della cultura del dato è rappresentato dall’individuazione degli indicatori/indici sintetici abitualmente utilizzati per rappresentare gli andamenti. Lo vedremo nel prossimo articolo, tuttavia posso anticipare che occorre procedere per gradi, vale a dire che ci saranno degli indicatori che ogni persona in azienda deve conoscere, altri faranno riferimento solo al settore di competenza, altri ancora saranno appannaggio solo della prima linea dirigenziale e dell’imprenditore. Avere troppi indicatori a volte fa perdere di vista il quadro d’insieme. La cultura del dato la si fa attraverso indicatori ed indici che riescono a produrre discussioni sui singoli elementi che li compongono. L’approccio sistemico in questi casi aiuta. La consapevolezza che un’azienda sia un insieme di componenti in relazioni tra loro, porta a ragionare sulle singole componenti e sulle relative relazioni. Mano a mano che entriamo nel dettaglio comprendiamo che ogni componente, a sua volta, ha dei sottosistemi con altre componenti e altre relazioni. Occorre individuare la coerenza tra gli aspetti di dettaglio con gli aspetti generali. Inoltre, è necessario comprendere che, l’oggetto della misurazione non sono solo le singole componenti, ma anche le relazioni che le tengono insieme e come queste interagiscono con il sistema esterno. In un contesto di vantaggi competitivi transitori, come quello attuale, avere un cultura del dato diffusa in azienda è fondamentale, per almeno due ordini di motivi: primo, possiamo accorgerci tempestivamente della perdita di uno dei nostri vantaggi competitivi, cogliendo i primi segnali; secondo, la ricerca costante di nuovi vantaggi competitivi ci porta a misurare le varie opzioni per scegliere quelle più convenienti considerato il momento che sta attraversando l’azienda. Non possiamo dimenticare, inoltre, che la cultura del dato porta un maggior numero di persone interne all’impresa a suggerire soluzioni migliorative rispetto a quanto si stia facendo; innescando, di conseguenza. un circolo virtuoso verso il miglioramento continuo.
However, not everything that can be counted counts, and not everything that counts can be counted”. La citazione appena riportata, per un lungo periodo, è stata erroneamente attribuita ad Albert Einstein. In realtà si tratta di una riflessione da parte del sociologo americano Cameron per sottolineare la difficoltà di misurare alcuni comportamenti umani che risultano fondamentali nel dare valore alle cose (William B. Cameron, "Informal Sociology: A Casual Introduction to Sociological Thinking").
La citazione se mal interpretata presta il fianco a comportamenti contrari al tentativo di rafforzare la cultura del dato all’interno di un’organizzazione. Molti potrebbero pensare che siccome è difficile dare il giusto valore ad alcune aspetti, tanto vale non sprecare tempo nel tentativo di dargliene.
L’imprenditore non può farsi guidare dal semplice intuito e dalla sua ispirazione. Credo che tutti quanti noi possiamo essere d’accordo sul fatto che le cose da fare per l’impresa siano quelle che portano valore diretto e/o indiretto, sia che queste possano essere facilmente contate oppure che ci si debba affidare a delle stime perché più aleatorie. Detto questo, come possiamo stabilire il valore delle cose e concentrarci su quelle più meritevoli di attenzione, se non miglioriamo il nostro approccio ai dati?
La sperimentazione si nutre di dati e ne produce a sua volta per indicare la direzione, altrimenti è solo uno spreco di risorse aziendali. La formazione per essere efficace si deve nutrire anch’essa di dati altrimenti sarebbe solo un modo diverso per impiegare del tempo. L’innovazione non può esistere senza un confronto con i dati. I vantaggi competitivi se non misurati sono semplici convinzioni dell’imprenditore e se non monitorati rischiano di trasformarsi in illusioni, considerata la loro transitorietà. La strategia aziendale viene monitorata e corretta attraverso i dati, compresi quelli che attendono di essere confermati dalle diverse sperimentazioni.
L’ ossessione positiva del dato è ciò che spinge al miglioramento ma se non diventa cultura dell’impresa resta solo un’ossessione. Per avere un engagement positivo di tutti gli attori aziendali a sviluppare una cultura del dato occorre utilizzare metriche che fanno discutere, come ho già detto in precedenza. Del resto la cultura nasce proprio dallo studio, dalla sperimentazione, dal ragionamento, dal confronto e dalla discussione su un determinato argomento. Indicatori che non fanno discutere portano un modesto risultato in termini culturali. Possono far parte del bagaglio di conoscenze e di competenze personali dei singoli, ma per trasformarsi in risorsa aziendale devono essere condivisi e produrre discussioni.
Nel prossimo articolo fornirò alcuni suggerimenti pratici per far crescere o riabilitare la cultura del dato all’interno di un organizzazione.
Grazie per l’attenzione.
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