domenica 22 novembre 2020

Orecchiette con Sugo di Broccoli

di Lele Roberti


Ricetta per 4 persone

  • g 400 orecchiette fresche
  • g 400 broccoli
  • g 40 burro
  • g 20 farina

  • 1/4 latte
  • n 1 acciuga
  • n 1 spicchio d'aglio
  • n 1 rametto di rosmarino
  • Parmigiano
Mettere in una padella il burro con un goccio di olio evo, l'acciuga, l'aglio, il rosmarino. Quando l'acciuga è sciolta e l'aglio è biondo, togliere il tutto, compreso il rosmarino. 
Aggiungere i  broccoli puliti e lavati e farli ammosciare. Aggiungere poco sale, peperoncino, poi aggiungere il latte, la farina e far bollire fin quando il composto non sarà ritirato al punto giusto per condire la pasta. 
Aggiungere formaggio grattugiato.  
Scolare le orecchiette e condire la pasta. 



mercoledì 18 novembre 2020

Nati e Abbandonati

 di Giovanni Pelosi

foto di Patrizia Renzoni

Il Prof. Giovanni Pelosi

Fu il mio primo anno di presidenza a Tavullia, dopo il trasferimento dalla Valcamonica, che conobbi una gentile e timida signorina: era la segretaria di quella piccola scuola media. Nel presentarci mi disse che si chiamava Esposta; rimasi un po’ interdetto, quel nome mi rimandò indietro nel tempo, ai sentieri non perduti della memoria, a quando mia madre un giorno mi disse che vicino alla nostra casa era arrivata una nuova famiglia e la signora si chiamava Esposta Germogli. Ripescato quel ricordo dissi alla non più giovane segretaria che il suo nome mi incuriosiva. Non poteva essere diversamente perché fin da adolescente ho sempre coltivato una particolare predilezione verso le parole in quanto luogo di pensiero, costruzione di mondi, incontri con l’universo, specie quelle che come un rompighiaccio spezzano il gelo dentro di noi, prendono alla gola, hanno a che fare con i sentimenti, si trasformano in poesia, in pensieri alati. Parole, pensieri che mi erano dolci come il miele per usare una espressione del profeta Ezechiele quando il Signore gli ordinò di mangiare un rotolo. Fu così che sotto la spinta di quella che i nostri padri latini chiamavano “curiositas”, presto comperai un piccolo quaderno diventato poi una rubrica che tutt’ora, malridotta e quasi lacera, conservo e vado a sfogliare e integrare con nuovi termini come “Resilienza, Sanificare, Entropia…”, ma non vi ho riportato quelli propri dei nostri giorni per far fronte al mortale Covid-19 “Recovery fund, Longform, Lockdown” che mi spaventano e, tra l’altro, hanno un suono sgradevole. Mantengono, invece, per me una grande attrazione ancora oggi termini, parole, concetti di carattere più spiccatamente sociale e politico come “Giustizia, Libertà, Pace, Tolleranza…” che hanno indirizzato il mio e il percorso di vita di molte persone. Hanno in sé una loro perenne attualità, una carica ideale ed etica che richiedono un nostro coinvolgimento e sono riassumibili in una piccola, solitaria, ma affascinante parola che è Utopia. Pur nella affievolita, ma non spenta convinzione di una sua realizzabilità, condivido il pensiero dello scrittore Eduardo Galeano: “Lei sta all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai; quindi a che serve l’utopia? Serve a questo: a camminare.”

Dopo questa deviazione, apparente deviazione, , perché ha sempre a che fare con ciò che ci colpisce, che esige una reazione, un agire di nuovo, un cercare di comprendere, è tempo di riprendere l’iniziale via da cui queste riflessioni sono nate.

Dopo i primi confusi e frenetici giorni per orientarmi in quella nuova realtà, dopo i piacevoli colloqui con i docenti e tutto il personale, dopo aver “familiarizzato” con gli alunni, specie quelli poco inclini allo studio o alla disciplina, un mattino la segretaria, nel porgermi dei documenti da firmare, con un abbozzo di sorriso e ringraziandomi per la mia gentilezza, mi disse che non aveva mai conosciuto chi fossero i suoi genitori , che era stata lasciata in fasce al San Salvatore finché a 11 anni venne affidata ad una famiglia di Pesaro. Mi incuriosii ancora di più e da letture e da ricerche mi resi conto che la storia di Esposta rientrava in una vicenda comune a tanti altri neonati: si trattava del fenomeno dell’abbandono dell’infanzia. Ripensai, a Romolo e Remo, a Mosè; conobbero anche loro questa pratica già diffusa tra i Romani e altri popoli e l’avvento del cristianesimo non la limitò interessato come era al fine creativo del matrimonio e chiese e monasteri offrirono luoghi fondamentalmente sicuri dove lasciare gli esposti, chiamati anche “putti, gittarelli, trovatelli, bastardelli”. Venivano abbandonati non solo nelle strutture religiose ma un po’ ovunque: davanti alle edicole, sui gradini di chiese , nelle osterie, negli incroci di strada  ma anche nelle campagne, davanti alle case o vicino al forno dei contadini. Generalmente erano lasciati in ore notturne per evitare il riconoscimento di chi li abbandonava. Da figure caritatevoli venivano consegnati al brefotrofio o consegnati direttamente attraverso la ruota: una struttura a forma cilindrica attraverso la quale avveniva il deposito.

Nella nostra provincia erano presenti il brefotrofio di Urbino (1265), di Cagli (1549), di Pesaro (1620), di Fossombrone (1720) e di Fano che viene fatto risalire più indietro di tutti: due atti del 997 riportano la presenza di una strada denominata “della Rota”. La sede definitiva sarà l’Ospizio di S. Michele (foto)

Ospizio di San Michele 

e sulla destra dell’Arco di Augusto una pietra contiene le scritte “Eleemosynis expositorum” (foto).


(Continua prossimamente con un'Altra Storia...)


domenica 15 novembre 2020

La Cultura del dato è il punto da cui partire

 di Pierluigi Venturi

Nel precedente articolo del 18 ottobre scorso avevo preannunciato un percorso che, partendo da alcuni elementi fondamentali del fare impresa, consentisse alle nostre PMI di operare azioni di recupero relativamente al gap di ritardo culturale accumulato in questi ultimi anni nei confronti di imprese di altri Paesi e alle nostre stesse potenzialità.
Il punto di partenza non può che essere  la cultura del dato

Il ritardo  che molte imprese italiane hanno accumulato rispetto a questo elemento essenziale del fare impresa è piuttosto importante. Non si tratta di un peccato veniale, in quanto l’attuale contesto competitivo concede sempre meno possibilità di operare con dati approssimativi  e, inoltre, un ritardo su questo punto è sinonimo di cattive interpretazione degli altri aspetti del fare impresa perché non misurati correttamente. Senza considerare l’effetto sulla necessità di scelte strategiche consapevoli e tempestive che lo stesso contesto competitivo richiede.
L’approccio di molti imprenditori di ditte artigiane e piccole imprese fino a pochi anni fa, era ancora concentrato sulla parte operativa del lavoro e si fidava dell’esperienza facendo calcoli molto approssimativi e con scarsa condivisione delle informazioni con il resto della struttura. In altre parole, non avevano la cultura del dato! Tutto questo produceva un grosso dispendio di risorse. Da qualche tempo, le marginalità, per molte micro imprese, sono diminuite in alcuni settori tradizionali  e magari qualche attenzione in più la si può intravedere. Tuttavia non è facile  inserire una cultura del dato in una realtà non abituata a farlo (nel prossimo articolo fornirò alcuni suggerimenti per poterlo fare). 
Prima di entrare nel merito, voglio chiarire da subito  tre punti chiave:
1. la cultura del dato  è ciò che  guida l’azienda verso la crescita, indipendentemente dalle sue dimensioni: sia che si parli di ditte artigiane, micro imprese o multinazionali;
2. i gestionali e gli strumenti di condivisione delle informazione utilizzati dall’impresa, da soli, non certificano la presenza di una cultura del dato. Occorre che tali informazioni e le metriche utilizzate dall’impresa per monitorare gli andamenti producano “discussioni” interne, altrimenti non si trasformano in cultura;  
3. creare un sistema interno all’impresa orientato al dato (sia quantitativo che qualitativo) è il primo passo per per poter agire in modo strategico. 
Avere dati attendibili ed in tempo reale è già un vantaggio competitivo per l’impresa che ci riesce rispetto a quelle che devono attendere elaborazioni contorte e non sempre affidabili. Ad oggi è più una questione culturale che tecnologica. Ovviamente la cultura del dato non è legata solo alla tempestività nella fornitura, ma anche ad un sistema valoriale collegato alla stessa fatto di trasparenza, responsabilità, condivisione, ma soprattutto, consapevolezza che i dati siano utili per eventuali ripensamenti della strategia. Il presidente di Infosys, colosso mondiale dell’informatica di origine Indiana, ripete spesso ai suoi collaboratori queste parole: "Di Dio ci fidiamo, ma  tutti gli altri devono portarci  dati".  

Al fine di dare concretezza alla discussione, di seguito propongo un questionario preliminare per misurare il livello di cultura del dato presente all’interno delle nostre imprese. Il questionario prevede, in alcuni casi, domande multiple all’interno della stessa riga. Nel caso in cui una risposta dovesse risultare affermativa e l’altra negativa, dovremmo indicare “NO” come risposta di  riga in quanto il “SI” lo utilizzeremo  solo nel caso di tutte risposte positive. Si tratta di un banale  esercizio al fine di comprendere il punto di partenza delle nostre imprese rispetto alla cultura del dato  e su quali  aspetti occorre che lavorino maggiormente. Evidentemente l’elenco delle domande può essere allungato e/o adeguato al singolo caso. 

Questionario preliminare per verificare la cultura del dato

1

Hai consapevolezza di come impieghi il tuo tempo? Sapresti fornirmi una prova per singola attività in 5 minuti?

SI

NO

2

Hai un sistema di programmazione delle attività che indichi chiaramente ad ogni addetto dell’azienda cosa deve fare ogni giorno? Il programma ha una visibilità mensile? Ci sono responsabili per ogni dipartimento che controllano l’andamento dei programmi e risolvono i relativi problemi? 

SI

NO

3

L’azienda ha sviluppato una cultura al feedback? Vengono forniti regolarmente i dati consuntivi delle attività giornaliere da parte di tutti?

SI

NO

4

La tipologia di software utilizzato per la programmazione delle attività consente la gestione delle informazioni qualitative, oltre che quelle quantitative e per singolo progetto? Tali informazioni sono condivise e reperibili in 5 minuti?

SI

NO

5

Esistono le distinte base? Sono fruibili da tutti i dipartimenti aziendali oltre che  produzione/ufficio tecnico e approvvigionamenti? Sono disponibili in forma da poter valutare in 10 minuti l’impatto di un’eventuale variazione di prezzo o di quantità di alcuni componenti?

SI

NO

6

Hai consapevolezza della marginalità per singolo pezzo/servizio prodotto?

I dati disponibili sono in un formato che modificando alcune componenti che determinano il margine di dettaglio (prezzi, quantità ed altro) puoi calcolare l’impatto sul budget e sui preventivi in 10 minuti?

SI

NO

7

Nella tua impresa è stato formalizzato un criterio per l’elaborazione dei preventivi? E’ chiaro chi siano le persone autorizzate a farli? Riesci ad evaderli nella stessa giornata della richiesta?

SI

NO

8

Conosci i numeri del tuo mercato di riferimento ( chi sono i competitors, come operano, la loro marginalità ed i loro volumi)?

SI

NO

9

Esiste un sistema di monitoraggio? Il controllo andamentale rispetto al budget viene fatto giornalmente, settimanalmente, mensilmente ed annualmente?

SI

NO

10

Esiste un budget per singola attività/risorsa/fatturato/segmento di mercato/cliente?

SI

NO

11

Hai consapevolezza dei fabbisogni finanziari che il budget di attività precedente comporta? Hai una visione finanziaria mensilizzata per almeno un anno e/o comunque 6 mesi per mettere in atto azioni qualora dovessi affrontare  uno sbilancio?

SI

NO

12

Hai a disposizione degli indicatori/indici sintetici in modo da poter verificare immediatamente se stai procedendo nella giusta direzione? Sono condivisi con le persone interessate (vale a dire per settore di riferimento)?

SI

NO

13

La circolazioni delle informazioni relativamente ai budget è diffusa in tutti i settori aziendali? Esistono comunicazioni/informazioni formalizzate  trasversali tra settori giornalmente?

SI

NO

14

Esiste un vero sistema qualità interno? Fornisce con regolarità dati sulle non conformità rilevate?

SI

NO

15

E’ stato introdotto il modello delle 8D per  la risoluzione dei problemi? L’azienda usa il modello delle 5S al fine di ridurre gli sprechi e i costi?

SI

NO

16

E’ stata introdotta una cultura/gestione del rischio con lo sviluppo di scenari possibili?  Si usa la SWOT Analisys? 

SI

NO



La cultura del dato va ben oltre le 16 domande proposte nel questionario, in quanto ognuna di esse potrebbe prestarsi ad altre 16 domande e così via. Inoltre, una volta risposto e chiarito l’esistenza o meno di un determinato aspetto, occorre precisare il “come” viene gestito. Componente non secondario se l’obiettivo prefissato è quello di realizzare una cultura del dato.   Si tratta di comprendere l’attitudine  delle persone che operano in azienda e di come si pongono rispetto alla necessità di misurare ogni aspetto. Occorre una consapevolezza diffusa  che il rilevare dati ed informazioni, rappresenta la conditio sine qua non per elaborare una strategia efficace e per poterla aggiornare, correggere o cambiare in corso d’opera. In definitiva, aver risposto tutti “SI” al questionario non ci indica che siamo a posto relativamente alla cultura del dato, in quanto l’indagine è appena cominciata. L’obiettivo del questionario è quello di stimolare ulteriori domande e verificare dove siamo carenti. Qualora avessimo riportato  dei “NO” avremmo già materiale su cui lavorare. Sicuramente dovremmo  anche ponderare le singole risposte: un “NO” alla prima domanda non può avere lo stesso peso di un “NO” all’ultima. 
La cultura del dato è il punto di partenza perchè trasversale ad ogni aspetto aziendale. Ne segue che anche gli altri “elementi” che io considero fondamentali ai fini di una crescita culturale (concetto di Vantaggio competitivo, innovazione e formazione continua) sono soggetti a valutazioni sia quantitative che qualitative. Un ruolo importante alla diffusione della cultura del dato è rappresentato dall’individuazione degli indicatori/indici sintetici abitualmente utilizzati per rappresentare gli andamenti. Lo vedremo nel prossimo articolo, tuttavia posso anticipare che occorre procedere per gradi, vale a dire che ci saranno degli indicatori che ogni persona in azienda deve conoscere, altri faranno riferimento solo al settore di competenza, altri ancora saranno appannaggio solo  della prima linea dirigenziale  e dell’imprenditore. Avere troppi indicatori a volte fa perdere di vista il quadro d’insieme. La cultura del dato la si fa attraverso indicatori ed indici che riescono a produrre discussioni sui singoli elementi che li compongono. L’approccio sistemico in questi casi aiuta. La consapevolezza che un’azienda sia un insieme di componenti in relazioni tra loro, porta a ragionare sulle singole componenti e sulle relative relazioni. Mano a mano che entriamo nel dettaglio comprendiamo che ogni componente, a sua volta, ha dei sottosistemi con altre componenti e altre relazioni. Occorre individuare la coerenza tra gli aspetti di dettaglio con gli aspetti generali. Inoltre, è necessario comprendere  che, l’oggetto della misurazione non sono solo le singole componenti, ma anche  le relazioni che le tengono insieme e come queste interagiscono con il sistema esterno.  In un contesto di vantaggi competitivi transitori, come quello attuale, avere un cultura del dato diffusa in azienda è fondamentale, per almeno due ordini di motivi: primo, possiamo accorgerci tempestivamente della perdita di uno dei nostri vantaggi competitivi, cogliendo i primi segnali; secondo, la ricerca costante di nuovi vantaggi competitivi ci porta a misurare le varie opzioni per scegliere quelle più convenienti considerato il momento che sta attraversando l’azienda. Non possiamo dimenticare, inoltre, che la   cultura del dato porta un maggior numero di persone interne all’impresa a suggerire soluzioni migliorative rispetto a quanto si stia facendo; innescando, di conseguenza. un circolo virtuoso verso il miglioramento continuo.

However, not everything that can be counted counts, and not everything that counts can be counted”. La  citazione appena riportata, per un lungo periodo, è stata erroneamente attribuita ad Albert Einstein. In realtà si tratta di una riflessione da parte del sociologo americano Cameron per sottolineare la difficoltà di misurare alcuni comportamenti umani che risultano fondamentali nel dare valore alle cose (William B. Cameron, "Informal Sociology: A Casual Introduction to Sociological Thinking").

La citazione se mal interpretata presta il fianco a comportamenti contrari al tentativo di rafforzare  la cultura del dato all’interno di un’organizzazione. Molti potrebbero pensare che siccome è difficile dare il giusto valore ad alcune aspetti, tanto vale non sprecare tempo nel tentativo di dargliene.  
L’imprenditore non può farsi guidare dal semplice intuito e dalla sua ispirazione. Credo che tutti quanti noi possiamo essere d’accordo sul fatto che le   cose da fare per l’impresa siano quelle che portano valore diretto e/o indiretto, sia che queste possano essere facilmente contate oppure che ci si debba affidare a delle stime perché più aleatorie. Detto questo, come possiamo stabilire il valore delle cose e concentrarci su quelle più meritevoli di attenzione, se non miglioriamo il nostro approccio ai dati? 
La sperimentazione si nutre di dati e ne produce a sua volta per indicare la direzione, altrimenti è solo uno spreco di risorse aziendali. La formazione per essere efficace  si deve nutrire anch’essa di dati altrimenti sarebbe solo un modo diverso per impiegare del tempo. L’innovazione non può esistere senza un confronto con i  dati. I vantaggi competitivi se non misurati sono  semplici convinzioni dell’imprenditore e se non monitorati  rischiano di trasformarsi in illusioni, considerata la loro transitorietà. La strategia aziendale viene monitorata e corretta attraverso i dati, compresi quelli che attendono di essere confermati dalle diverse sperimentazioni.

L’ ossessione positiva del dato è ciò che spinge al miglioramento ma se non diventa cultura dell’impresa resta solo un’ossessione. Per avere un engagement positivo di tutti gli attori aziendali a sviluppare una cultura del dato occorre  utilizzare metriche che fanno discutere, come ho già detto in precedenza. Del resto la cultura nasce proprio dallo studio, dalla sperimentazione, dal ragionamento, dal confronto e dalla discussione su un determinato argomento. Indicatori che non fanno discutere portano un modesto risultato in termini culturali.  Possono far parte del bagaglio di conoscenze e di competenze personali dei singoli, ma per trasformarsi in risorsa aziendale devono essere condivisi e produrre discussioni. 

Nel prossimo articolo fornirò alcuni suggerimenti pratici per far crescere o riabilitare la cultura del dato all’interno di un organizzazione.
Grazie per l’attenzione.

domenica 1 novembre 2020

Generalità sul Sistema del Margine di Contribuzione

 di Luciano Giambartolomei

Riepilogo dei collegamenti esistenti fra scopi di un sistema di costi e requisiti che esso deve possedere per conseguirli



Il primo scopo di un sistema di costi è quello di rappresentare la base per la fissazione di equi prezzi di vendita, cioè prezzi cui non sia imposto di assorbire quote di spese generali anormalmente elevate o anormalmente basse.

Per rispondere a questo scopo il sistema deve essere equo.

Un sistema di costi è equo quando imputa a ciascun prodotto in MODO DIRETTO i componenti di costo ad esso chiaramente attribuibili, limitando al minimo i componenti di costo imputati in MODO INDIRETTO.

Il secondo scopo di un sistema di costi è quello di costituire il presupposto di un analitico preventivi e consuntivi, determinando le aree aziendali in cui è necessario intervenire, suggerendo i modi in cui intervenire per correggere la gestione.

 Per rispondere a questo scopo il sistema deve essere analitico.

Un sistema di costi è analitico quando disaggrega i vari costi in base all’area aziendale in cui sorgono e il responsabile gerarchico che ne risponde; imputandoli successivamente a ciascun prodotto nel più dettagliato possibile.

Il terzo scopo di un sistema di costi è quello di fungere da supporto ad una operativa politica aziendale che si proponga di pervenire a decisioni razionali prevedendo in precisi termini quantitativi le conseguenze economiche delle varie possibili alternative. Per rispondere a questo scopo il sistema deve essere operativo.
Un sistema di costi operativo quando “ discriminando fra costi variabili e costi fissi “ permette di operare razionali scelte di politica aziendale.

Il sistema del margine di contribuzione

Il sistema del margine di contribuzione valorizza tutto il potenziale di rottura insito nelle critiche mosse ai sistemi che calcolano “il costo complessivo “.
Esso da contorni meglio definiti alle decisioni dell’imprenditore individuando le vere coordinate del problema.
Ottiene ciò suddividendo i costi variabili e fissi in funzione del loro comportamento al variare del volume di attività dell’azienda.
Dopo aver proceduto a tale suddivisione il sistema del margine di contribuzione si sottrae all’illusione di conoscere il “costo complessivo” dei prodotti e più saggiamente si accontenta di conoscere l’unica cosa che è data da conoscere: il costo variabile.

La relazione analitica è:
   Costo delle materie prime
+ Costo della manodopera diretta
+ Quota delle spese generali variabili
________________________________
= Costo variabile

La somma dei tre addendi considerati non costituisce il “costo complessivo” in quanto non comprende alcuna aliquota di costi fissi.
Si avrà, perciò:
  Prezzo di vendita del prodotto
- Costo variabile del prodotto
_________________________________
= Margine di contribuzione

Il margine di contribuzione, quindi, non rappresenta l’utile ma un elemento contabile che comprende le quote di spese fisse e di utile conseguite vendendo una unità del prodotto considerato.
Più precisamente, in sede teorica al margine di contribuzione si possono attribuire due ruoli:
  • Nel periodo che va dall’inizio dell’esercizio fino al momento in cui l’azienda raggiunge il Punto di Pareggio, i margini di contribuzione dei prodotti venduti vengono utilizzati per recuperare i costi fissi dell’intero esercizio. 

 

  • Nel periodo che va dal momento in cui l’azienda raggiunge il Punto di Pareggio alla fine dell’esercizio, i margini di contribuzione dei prodotti venduti vengono a costituire l’utile. 

 Il sistema del margine di contribuzione rappresenta un modello economico completo dell’attività aziendale

Il sistema del margine di contribuzione è un vero modello economico del comportamento dei costi aziendali in quanto si sforza di individuare non solo dove si formano i costi ma anche come essi si comportano al variare del volume di produzione.

Ne deriva la sua capacità di calibrare le risposte alle domande che di volta in volta si pongono gli imprenditori permettendo ad essi di predeterminare in precisi termini quantitativi le conseguenze economiche delle varie alternative gestionali.
Proprio per il fatto di fungere da attendibile supporto alle decisioni dell’imprenditore il sistema del margine di contribuzione viene presentato come contabilità per gli imprenditori.
(Pur rimandando alle prossime pubblicazioni, ricordiamo che il Punto di Pareggio è il volume di produzione che un’azienda deve raggiungere per coprire tutti i suoi costi, senza avere né un Euro di utile né un Euro di perdita).
Se siete interessati a condividere dei vostri quesiti in merito, scrivete le vostre richieste per ricevere gratuitamente informazioni.


La prossima pubblicazione: “Applicazione del sistema del margine di contribuzione” ci rivediamo fra quindici giorni.