lunedì 5 aprile 2021

Il Mondo che vorrei!

 di Mauro Rapa, Presidente LVDS

La Via della Seta, ha iniziato un nuovo percorso conoscitivo, dal titolo il “Mondo che vorrei”. L’obiettivo è sempre lo stesso: la crescita culturale, sociale ed economica dei propri iscritti, con particolare attenzione ai Giovani.

Martedì 30 marzo 2021, alle ore 21 ed in videoconferenza, abbiamo incontrato il Presidente del Consorzio Olio DOP Cartoceto, Tommaso Maggioli ed il produttore Giordano Galiardi dell’Omonima Azienda Agricola Biologica.

I due relatori hanno illustrato le loro rispettive aziende, mettendo in risalto le peculiarità ed il valore per sé e per tutto il territorio, della DOP e del Biologico.

Alle loro relazioni, si è poi aggiunto un contributo di una special guest d'eccezione: Angela D’Angelo, che da Alcamo in Sicilia, ha portato la sua esperienza di titolare di una Azienda agricola di famiglia,  che da molti anni ha intrapreso la strada del biologico.

Sono intervenuti anche numerosi soci ed amici, che non citiamo singolarmente per non correre il rischio di dimenticare qualcuno.

Se volessimo sintetizzare la serata in tre parole potremmo dire:

-        Passione.

-        Competenza

-        Cultura

Rappresentano la premessa per rendere credibile un percorso di crescita del settore agricolo che, nonostante i dati incoraggianti di mercato e il favorevole regime di sostegno UE, presenta non pochi ostacoli.

Per un giovane che non possiede un’azienda di famiglia è difficile entrarvi in quanto ci sono diverse barriere all’entrata; gli operatori del settore trovano molte difficoltà a fare rete e a potenziare DOP e biologico; la presenza dei prodotti italiani sui mercati internazionali è molto inferiore rispetto al potenziale; eccetera. Il superamento degli ostacoli sarà possibile solamente se riusciremo a risignificare le tre parole suddette e renderle coerenti con il contesto che stiamo vivendo.

Per questo, la nostra Associazione, intende adoperarsi per far sì che possa emergere una rinnovata passione per il settore Agricolo; che si possano aumentare ed adeguare le competenze che servono per affrontare il nuovo contesto competitivo; ed infine, ma non da ultimo, considerato che fa parte del nostro DNA, contribuire ad una crescita culturale di tutti gli Operatori: siano essi Storici, Giovani oppure i prossimi a scendere in campo.

domenica 21 marzo 2021

Un Omaggio alle Donne

di Mauro Rapa

 L’Associazione Culturale La Via della Seta, anche in regime di Covid, non poteva non coinvolgere Soci ed Amici nel rendere “ Un Omaggio alle Donne”. Per questo, in collegamento con la piattaforma ZOOM, ha indetto un incontro tra coloro che desideravano liberamente partecipare, sia come ascolto che con una propria testimonianza, purché al femminile. Ne è scaturita una serata emozionante dove si è riso, si è riflettuto e ci si è pure commossi.

Questo grazie alle numerose testimonianze che i partecipanti hanno portato. A tutti è stato concesso un tempo massimo di 5 minuti ed il è caso di dire che quando si hanno cose serie ed importanti da esternare, 5 minuti sono un tempo sufficiente, perché a tutti è bastato per esprimere i concetti ritenuti importanti e significativi da condividere con gli altri, a dimostrazione che spesso, poche parole, se sentite, sono più incisive di inutili, lunghi e snervanti monologhi e dibattiti. Ecco perché la serata è risultata leggera ma allo stesso tempo intensa e significativa. Come potrete rilevare dagli interventi che qui di seguito riportiamo, ancora una volta, il concetto tanto caro alla nostra Associazione, quello di una cultura a 360°, è stato ampiamente confermato. Se si vuole crescere, se si vuole aggregare per stare bene insieme, non si può essere settoriali o monotematici. Se poi il tutto si basa su interventi ed azioni fatte da persone competenti, ognuna per il proprio settore, professione, attività o passione, allora il cerchio si chiude ed i risultati sono assicurati nel pieno rispetto dell’articolo 2 del nostro statuto che cita: a - di favorire la crescita culturale, democratica e civile dei propri iscritti; b - di stimolare, attraverso la propria azione, lo sviluppo delle diverse tendenze ed aspirazioni sociali nell’interesse della comunità locale. Veniamo ora alla serata e ai temi trattati dai Soci e dagli Amici intervenuti.

Il Dott. Roberto Budassi ci ha parlato di “La” Covid 19 – Una storia al Femminile, mettendo in risalto, con numeri alla mano ed esempi concreti, quale sia stato il ruolo ed il prezzo pagato dalle donne nell’affrontare questa pandemia.

 Lorenzo Rondina, il nostro docente per i corsi di lingua straniera, pur giovanissimo, con grande sensibilità e realismo, ci ha parlato di Ilse Weber, Scrittrice internata ad Auschwitz, di ciò che lei ha fatto e tramandato da quella tragica e, speriamo, irripetibile esperienza. 

Ester Muscò, dottoressa in legge, appassionata di ogni forma di cultura e bellezza, sceglie come testimonial femminile la giornalista e scrittrice Rula Jebreal, palestinese con cittadinanza italiana, nonché “ambasciatrice morale” della nostra nazione. Nel suo ultimo libro “Il cambiamento che meritiamo”, pone fortemente l’accento su come le donne stanno tracciando la strada verso il futuro. L’istruzione è l’arma più potente per l’indipendenza delle donne. 

Di Marco Polidori, poeta lucreziano, abbiamo letto la Poesia “Donne e Donne”, premiata al festival internazionale di letteratura di Taormina nel 2012, una poesia intensa, drammatica ma tanto tanto bella e meritevole del premio ricevuto. 

Daiana Capoferri, la nostra stilista, titolare dell’omonimo Atelier, nonché ispiratrice della formula di questa serata, ha raccontato la vita di Franca Sozzani, Giornalista di Moda, direttrice di Vogue e del suo modo innovativo di concepire il ruolo della donna nella moda e nella nostra società.

Gloriana Baldelli, ha esaltato il ruolo della mamma Oderfla Gennari e ci ha deliziato con alcuni “detti pesaresi” che la mamma spesso le ripeteva e che lei fortunatamente ha trascritto e che per la loro veridicità non andrebbero mai persi. 

Pierluigi Venturi, il nostro esperto di Economia, ha messo in risalto la figura di Joan Robinson, la prima donna economista inglese ad ottenere una cattedra a Cambridge. La Robinson è stata fonte d’ispirazione per economisti come i premi Nobel Stigliz e Sen e ha contribuito fattivamente alla stesura della “ Teoria Generale dell’occupazione, interesse e moneta (1936)” di Keynes. Le sue tante opere, spesso fuori dal coro e mai banali, le hanno donato l’appellativo de “la ribelle di Cambrige”. Inoltre, la sua costante ricerca di andare oltre a quanto già studiato, rende particolarmente attuale il suo pensiero. 

E’ toccato poi al Presidente Mauro Rapa, rendere la serata un po’ più “leggera” omaggiando una donna, Teresa, che lui considera la ispiratrice involontaria ma genuina di tutte “le frustèt” che vengono scritte a Isola di Fano per la Festa di San Rocco. Ha letto una delle tante frustate a lei dedicate e se volete gestire quantitativamente una polentata, chiedete a Teresa.

Gloria Del Bianco la più giovane dei presenti, ha tratto da recenti studi, la storia di Egerìa, una donna che è stata una scrittrice romana, autrice di un Itinerarium in cui racconta il suo viaggio nei luoghi santi della cristianità. Da considerarsi la prima Donna Storica di ogni tempo. 

Ilaria Pierucci, in questa giornata dalla forte carica evocativa, incentrando il suo intervento su un forte messaggio di emancipazione e autonomia, non poteva esimersi dal parlare di Virginia Woolf, la grande Scrittrice attivista femminista, considerata figura di riferimento della letteratura del XX secolo e della lotta per la parità tra i sessi. 

Paola Santi, con grande commozione, ci ha parlato di Emma, la mamma, recentemente scomparsa per Covid. E’ stato un racconto per lei difficile e per tutti noi di grande pathos in quanto siamo tutti consapevoli che, quando chi ti ha insegnato tutto della vita, se ne va senza che tu lo possa nemmeno salutare, è e resta un vuoto incolmabile. 

Dopo aver parlato di tante donne e dei loro ruoli, ne mancava uno importante, decisivo e meritevole: la moglie. Lo fa Alfio Magnesi parlandoci della sua insostituibile compagna nella vita e nel lavoro: sua moglie Gigliola la quale è anche sua Socia e stretta collaboratrice nella sua azienda - la Ideostampa - dove ricopre il fondamentale ruolo Amministrativo. Alfio ci ha parlato di Lei e lo ha fatto con passione, rispetto e un amore tanto invidiabili quanto reali e sinceri. Un racconto e un esempio di come, con ruoli, libertà e sogni diversi, oggi più che mai, l’uomo e la donna possono e debbono convivere nel rispetto della propria famiglia, del lavoro e dell’amore reciproco.

Valerie Gattari, naturopata, dall’esotico nome francese, ci ha parlato della mamma che, giovane marchigiana espatria nella grande metropoli Parigina, poi si trasferisce in quella Milanese ed ora, per il meritato riposo, è ritornata nelle proprie terre, portando con se una mentalità, una gestualità ed una visione della vita modernissime, ma intelligenti e piene di umanità. 

La conclusione non poteva essere se non quella di dedicare alle nostre donne una poesia, scritta da una donna, Augusta Tomassini. Lei ipovedente, autrice di innumerevoli poesie tradotte in tante lingue in tutto il mondo, dalla sua Sterpeti, non potendo partecipare alla serata, ci ha inviato “Donna” che così termina…Donna, madre, moglie, amante, anche col passar degli anni bellezza splendente. Non buttarti via, è sempre tempo di prendersi cura di te.

Un abbraccio a tutte le donne.

È possibile rivedere la serata cliccando qui.

domenica 14 marzo 2021

Il Margine di Contribuzione viene assunto come misura della Redditività dei Prodotti

di Luciano Giambartolomei 

I sistemi tradizionali pretendono di pervenire alla conoscenza del costo complessivo e quindi dell’utile attraverso la relazione:

                                         Prezzo di vendita del prodotto

                                       - Costo complessivo del prodotto

                                       = Utile determinato del prodotto


Il sistema del margine di contribuzione ha fatto emergere l’impotenza dei sistemi ambigui che, nel mentre promettono di far conoscere il costo complessivo e l’utile dei vari prodotti, in realtà non fanno conoscere proprio niente. 

Infatti, l’utile determinato dalla vendita di un dato prodotto non dipende solo dalla differenza:

                              PREZZO DI VENDITA – COSTO COMPLESSIVO

Ma anche, e soprattutto, dal

                              VOLUME DI ATTIVITA’ RAGGIUNTO DALL’AZIENDA

Pretendere, come fanno i sistemi tradizionali, di conoscere separatamente l’incidenza delle spese generali e dell’utile è illusorio. Infatti tali conoscenze potranno aversi solo alla fine dell’esercizio quando sarà noto il volume di attività raggiunto dall’azienda.

Si presenta allora questo problema:

Se è impossibile conoscere l’utile determinato dai vari prodotti perché esso dipende dal volume di attività che l’azienda raggiungerà alla fine dell’esercizio, quale criterio bisogna adottare per stabilire la redditività dei vari prodotti?”

E’ infatti evidente che ogni azienda deve concretare una politica commerciale fin dall’inizio di ciascun esercizio e non può aspettarne la fine per fissare i prezzi di vendita dei vari prodotti; prezzi che di tale politica sono gli elementi qualificanti.

Per stabilire un criterio volto a determinare in modo oggettivo la redditività dei vari prodotti il SISTEMA DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE fa la considerazione:

 “Poiché l’UTILE determinato dalla vendita di un prodotto dipende dal volume di attività che l’azienda raggiugerà alla fine dell’esercizio non ci si può basare su di esso per stabilire la redditività dei vari prodotti, che deve essere valutata nel momento in cui vengono immessi sul mercato”.

In tale momento sono noti solo due elementi:

·       Il PREZZO al quale il prodotto viene posto in vendita, calcolato tenendo conto dei prezzi di mercato

·       Il COSTO VARIABILE del prodotto

Pertanto, quale misura della redditività dei vari prodotti bisogna assumere la differenza:

                           PrezzoCosto variabile = Margine di contribuzione

Tale differenza costituisce una specie di margine lordo cui è affidato l’incarico di coprire i costi fissi del periodo e di consentire la formazione dell’utile.

In base a tale criterio i prodotti più redditizi sono quelli che hanno un più elevato MARGINE DI CONTRIBUZIONE. Essi, infatti, dopo aver recuperato i COSTI VARIABILI, lasciano a disposizione un elevato MARGINE DI CONTRIBUZIONE che verrà utilizzato per coprire i COSTI FISSI dell’esercizio e successivamente per dar luogo alla formazione dell’UTILE.

Facendo riferimento ai prodotti che compaiono nella tabella 01 possiamo ordinarli in base al valore assoluto tabella 02 e al valore percentuale del relativo margine di contribuzione tabella 03.


Tabella 1


  

Tabella 2


                                                            

Tabella 3

                                                            


Il sistema del margine di contribuzione è equo

Il requisito di equità deriva al sistema dal fatto di imputare a ciascun prodotto in modo diretto i componenti di costo ad esso chiaramente attribuibili, limitando al minimo i componenti di costo in modo indiretto.

Il requisito di equità porta alla fissazione di equi prezzi di vendita.

Il sistema del margine di contribuzione è analitico

Il requisito di analiticità deriva al sistema dal fatto di disaggregare i costi in base all’area aziendale in cui sorgono e al responsabile gerarchico che ne risponde; e di imputarli successivamente a ciascun prodotto nel modo più dettagliato possibile.

Il requisito di analiticità permette di tenere sotto controllo i fatti gestionali:

- scoprendo con immediatezza eventuali scostamenti fra preventivi e consuntivi;

- individuando le aree aziendali in cui è necessario intervenire;

- suggerendo i modi e i tempi secondo cui procedere agli interventi correttivi.

 

Il sistema del margine di contribuzione è operativo

Il requisito di operatività deriva al sistema dal fatto di discriminare fra costi variabili di prodotto e costi fissi di struttura.

Il requisito di operatività permette di giungere ad operative scelte di politica aziendale essendo possibile prevedere in precisi termini quantitativi le conseguenze economiche delle varie decisioni alternative.

In particolare il SISTEMA DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE permette di dare risposte alle domande che ogni imprenditore si pone quando deve decidere la programmazione economica della sua azienda.

Domande che sono queste:

    •        Come variano i costi e il risultato economico al variare del volume di attività dell’azienda?
    •        Qual è il volume di attività che l’azienda deve raggiungere per coprire tutti i suoi costi fissi di struttura ed entrare nella zona dei profitti?
    •        Su quali prodotti l’azienda guadagna e su quali perde?
    •        Nella bassa congiuntura, quando gli ordini già acquisiti non sono sufficienti a saturare la capacità produttiva, qual è il minimo prezzo di vendita che l’azienda può accettare per un dato prodotto?
    •       In relazione all’entità dell’ordine, qual è il limite di convenienza ad accettare i prezzi proposti da clienti speciali (grandi magazzini, catene di acquisto, grandi importatori esteri)?
    •       Conviene affidare lavorazioni a terzi?

A tutte queste domande il SISTEMA DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE è in grado di dare precise e rigorose risposte come avremo modo di verificare nelle prossime pubblicazioni.

Ne consegue che il SISTEMA DEL MARGINE DI CONTRIBUZIONE viene a porsi come elemento portante di ogni programmazione economica a breve e medio termine.

Se siete interessati a condividere dei vostri quesiti in merito, scrivete le vostre richieste per ricevere gratuitamente informazioni.

domenica 7 marzo 2021

I COLORI DELLE DONNE

di Oriana Ambrosini 

Come un doppio arcobaleno dopo un temporale intenso, tu, donna, confondi il tuo vivere tra gli umori ed i colori mentre affondi i tuoi passi sulla terra. Diventi di un bel verde quando calpesti la fresca erba, speranzosa di vita, bella, gioiosa vita, ma come un rovescio di medaglia ti trasformi in rabbia per le ingiustizie subite ed i sogni infranti.

Quando il sole dorato scalda il tuo corpo e il tuo viso è sereno, di colpo giri la schiena e gelosa tradisci, affili la lama e colpisci.

Tu, donna, che a capo chino giungi le mani e ti raccomandi, devota, al tuo PADRE, tiri anche il viola sipario, offendi giudichi e maledici le tue stesse sorelle. Nella stagione dell'amore offri il tuo rosso caldo cuore, pulsante e fedele fino all'etetnità ma al di là del muro il rosso ha cambiato sfumatura, È scuro, violento, crudele e tu non sarai più la stessa.

Nel blu della notte vuoi riprenderti tutta, cercare quell'armonia tra corpo e mente e, finalmente, trovare pace. E se un uomo ti dirà "non ti capisco", beh, non può, nel tuo profondo fondo è celata l'essenza del tuo essere, femmina, figlia e madre di uomini di ogni tempo.

domenica 21 febbraio 2021

Covid 19 – Briciole di cultura - Come andremo a finire?

 di dott. Roberto Budassi - Medico Pediatra

Capitolo 5

È naturale che ognuno di noi desideri tornare al più presto a vivere esattamente come nell’era pre Covid. L’dea di una “nuova normalità”, fatta di mascherine, distanziamento, sanificazione delle mani e “andare al ristorante o a scuola in sicurezza” (che “sicurezza” non è mai, semmai è “con minor rischio”) non può essere accettata come normalità, è un modo di vivere ob torto collo, forzatamente. Personalmente sono certo che torneremo ad una esistenza in tutto sovrapponibile alla precedente, con normali rapporti interpersonali e la normale fruizione di tutti i servizi, ma non sappiamo quando e abbiamo molte incertezze sul come vivremo prima che ciò avvenga.


Come tutti i virus di questo tipo, anche il nostro “amico” tenderà ad andare verso una sorta di adattamento all’ospite, attraverso continue mutazioni e alla fine si ridurrà probabilmente allo stato di agente infettante innocuo o molto prossimo dall’esserlo, come è già accaduto agli altri coronavirus circolanti da molti anni e che attualmente sono causa di semplici raffreddori o di altre lievi malattie respiratorie. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduta al virus influenzale che causò un secolo fa la cosiddetta Spagnola, scomparso improvvisamente dopo due anni di feroce pandemia, durante la quale sono decedute dai 30 ai 50 milioni di persone per la maggior parte giovani. Ma è ovvio che con le conoscenze attuali e l’attuale tecnologia non possiamo restare immobili ad attendere ed a sperare nel meglio, ma dobbiamo utilizzare tutto quanto è in nostro potere perché si giunga al più presto al termine di questo periodo buio. Da questo punto di vista le nostre armi più efficaci si chiamano anticorpi monoclonali per quanto riguarda la terapia e vaccini per quanto riguarda la prevenzione. Ed è soprattutto sui vaccini che il mondo scientifico (e non solo) si appoggia perché tutto viri al meglio e lo faccia velocemente, in quanto nessun sistema economico nel mondo potrà resistere all’attuale situazione per più di un certo numero di mesi, senza contare poi i danni psicologici ingravescenti dovuti al confinamento soprattutto a carico delle nuove generazioni. Attivare e portare avanti una efficace campagna di vaccinazione è così importante per la ripresa economica che tutti gli economisti, a cominciare per esempio da Cottarelli (già il 15 gennaio, intervista Rai) fino all’odierno discorso programmatico di Draghi, la mettono come precondizione ad ogni intervento di politica economica espansiva.

Tuttavia sono attualissimi gli allarmi sulle nuove varianti del SARS-Cov2 che si dice potrebbero essere meno sensibili ai vaccini ed ai monoclonali. A questo proposito è importante puntualizzare che il nostro coronavirus quando replica va inevitabilmente incontro a numerose mutazioni, tanto che il virus più circolante in questo momento, escluse quindi le più recenti varianti di cui si parla insistentemente (Inglese, Sudafricana e Brasiliana), non è lo stesso virus che ha iniziato a circolare nel mondo un anno fa e forse quello non era il virus che per primo è passato dagli animali all’essere umano. Tuttavia è molto difficile che una variante possa essere così diversa dai precedenti virus da risultare ampiamente resistente ai vaccini o alle terapie, perché contemporaneamente ridurrebbe in maniera significativa la sua capacità infettante; semmai potrebbe divenire un po’ meno sensibile. Ciò a dire che attualmente i nostri vaccini mantengono comunque una buona efficacia, se non altro nel prevenire la malattia grave, e che quindi è del tutto utile e necessario andare avanti con i programmi di vaccinazione globale, che contemplino la produzione in breve tempo di miliardi di dosi e la somministrazione altrettanto rapida all’intera popolazione in ogni stato della Terra, perché è solo così che si potrà ridurre la replicazione virale e ottenere un impatto positivo e definitivo sulla pandemia. È un’operazione titanica, certamente, ma non impossibile.

Il problema più attuale delle campagne vaccinali riguarda l’insufficienza delle dosi prodotte, poiché le aziende che sono arrivate al termine della sperimentazione sono molto poche, Pfizer, Moderna, Astra Zeneca, Sputnik ed alcune cinesi, e di queste solo i vaccini delle prime tre sono stati approvati in occidente, ma dobbiamo tener ben presente che ci sono oltre cento vaccini in fasi più o meno avanzate di sperimentazione e che già dal mese di aprile si prevede che avremo un così alto numero di dosi totali in Europa ed in Italia, che dobbiamo seriamente porci il problema di come riuscire a somministrarli “a tutto spiano”, per utilizzare un’esplicativa espressione di Walter Ricciardi, il consigliere scientifico del ministro Speranza. Uno per tutti il vaccino messo a punto dallo Spallanzani e dall’azienda ReiThera, attualmente in sperimentazione, ma con ottime referenze iniziali e la possibilità di concludere entro l’estate, del quale avremo a disposizione in Italia 100 milioni di dosi all’anno verosimilmente dal prossimo autunno.

E se il virus nonostante tutto mutasse in maniera sostanziale? Con tutto quello che si sta muovendo, in futuro non sarebbe certamente difficile attrezzarsi per effettuare richiami con versioni continuamente aggiornate dei vaccini, che godrebbero di una rapidissima approvazione per l’utilizzo, un po’ come avviene per il vaccino stagionale dell’influenza. In conclusione la situazione attuale, pur nella sua fluidità, non è tale da celare la luce ora ben visibile in fondo al tunnel. Una luce che vorremmo divenisse accecante entro la fine dell’anno in corso.

Ma cosa potrà accadere nel momento in cui si inizierà a vaccinare in maniera più intensiva? Qualche indicazione la possiamo trovare osservando chi è più avanti di noi. Israele, la cui campagna di vaccinazioni è iniziata il 20 dicembre, ha vaccinato quasi il 50% dei suoi 9 milioni di abitanti con una prima dose ed il 28% anche con la seconda; in particolare l’80% degli ultrasessantenni ha ricevuto almeno una dose di vaccino. I risultati fino a questo punto sono confortanti: il vaccino ha protetto completamente il 95% dei vaccinati e da metà gennaio a inizio febbraio le ospedalizzazioni per gli ultrasessantenni sono diminuite del 31% ed i casi del 41%. Con quasi la metà della popolazione vaccinata almeno con una dose, Israele sta riaprendo i centri commerciali, i musei, le librerie, ecc. mentre i vaccinati, dotati di una specie di pass elettronico, possono accedere alle piscine, partecipare ad eventi culturali e alloggiare negli alberghi.

Sarebbe auspicabile una situazione simile nel nostro paese per inizio estate: anziani vaccinati in gran parte ed un’altra parte significativa della popolazione generale vaccinata con almeno una dose. Come in Israele e con l’aiuto dalla buona stagione, potremo ottenere lo svuotamento dei reparti Covid negli ospedali. Confidando fortemente che nessuno faccia lo stesso errore di un anno fa e cioè di considerare l’epidemia superata e quindi ritenere inutile la vaccinazione, quello sarà il momento di spingere molto forte sulla campagna vaccinale, per poterci presentare alla stagione autunnale con il maggior numero possibile di persone protette.

Si è accennato al fatto che Israele offra una maggior libertà ai soggetti con certificato di vaccinazione rispetto a chi vaccinato ancora non lo è; si tratta certamente di una discriminazione, ma temporanea, in quanto si suppone che con i loro ritmi tutti gli abitanti passeranno velocemente nella categoria dei vaccinati. Si sta iniziando a discutere se uno scenario simile sia immaginabile in Italia, in Europa e nel resto del mondo, ma almeno per il nostro paese si deve tener conto della attuale non obbligatorietà della vaccinazione, dei diritti assicurati dalla legge sulla privacy e forse anche di altre variabili che non consentirebbero di discriminare anche momentaneamente una parte dei cittadini. È tuttavia evidente che la presenza nella popolazione di un certo numero di persone che potrebbero tenere vivo il contagio, seppure a bassa o bassissima intensità, potrebbe rappresentare un grosso problema, ed anche la convivenza fra soggetti vaccinati e non, in spazi sia aperti che chiusi, potrebbe portare a situazioni di non facile soluzione. In effetti alcuni albergatori hanno già dichiarato che non sarà loro intenzione ospitare soggetti non vaccinati per non doversi trovare in ulteriori difficoltà gestionali ed economiche ed auspicano che la popolazione possa ottenere una specie di “passaporto vaccinale” come in Israele.

Terminano qui i miei interventi su questo blog riguardanti la pandemia da SARS-Covi, un argomento gigantesco, di cui ho scelto solo alcuni aspetti che ho ritenuto fondamentali, sfrondando una lunghissima serie di poco utili discussioni che si sono accavallate nel corso di questi ormai non pochi mesi pandemici. Ho cercato di puntare l’attenzione su quanto ci è utile conoscere per guidare i nostri comportamenti, soprattutto al fine di tendere tutti assieme verso la soluzione del problema, che per quanto complessa, è comunque alla nostra portata, ed è indissolubilmente legata alla nostra capacità di vaccinare l’intero pianeta.

domenica 14 febbraio 2021

Vantaggi competitivi-Prima parte

 di Pierluigi Venturi

Mantenendo fede all’impegno assunto nello scorso ottobre, con questo articolo continuo il percorso che dovrebbe portarci ad accrescere il nostro bagaglio culturale per affrontare contesti di mercato sempre più dinamici. Oggi iniziamo a ragionare insieme su un concetto fondamentale del fare impresa: il Vantaggio competitivo.

Che cos’è un vantaggio competitivo? Come si fa a crearlo ma soprattutto, come si fa a mantenerlo?

Sono interrogativi che non fanno dormire gli imprenditori la notte, in quanto sono la chiave per poter stare sul mercato; sicuramente anche la base di studio di qualsiasi consulente, professore, ricercatore che cerchi di comprendere questo nuovo contesto competitivo generato dalla 4° rivoluzione industriale.

“Si racconta che uno dei motivi per cui la Germania vinse i Mondiali del ’54 contro l’Ungheria fu proprio un Vantaggio Competitivo, che nella definizione accademica di Wikipedia è descritto come ciò che costituisce la base delle performance superiori registrate rispetto alla media dei concorrenti diretti nel settore di riferimento.

Ma quale fu il Vantaggio Competitivo che permise ai tedeschi di vincere la Coppa del Mondo contro ogni pronostico? La memorabile partita del 4 Luglio 1954, nelle cronache sportive descritta come Il Miracolo di Berna, si disputò appunto in Svizzera davanti a 64.000 spettatori, e venne preceduta da una forte pioggia che rese il terreno molle e scivoloso. Il Vantaggio Competitivo Germanico era proprio lì sotto, nelle scarpe con cui i tedeschi riuscirono a sentirsi ancora leggeri ed elastici mentre davanti a loro gli ungheresi, con due carri armati ai piedi, affondavano ogni minuto di più. Gli scarpini Adidas avevano infatti una tecnologia allora unica: i tacchetti intercambiabili. Nel pantano d’erba e terra bagnata, avvenne così “il Miracolo di Berna”, i tedeschi avevano tacchetti lunghi e correvano e la partita finì 3 a 2. L’Ungheria era più forte ma la Germania aveva un Vantaggio Competitivo che la fece prevalere……La ricostruzione tedesca dopo la disfatta della II Guerra Mondiale, forse ricominciò proprio da lì, da un’inaspettata vittoria della Coppa del Mondo e grazie al Vantaggio Competitivo vero, consistente e fruibile che l’imprenditore Adi Dassler aveva inventato”.

Lo stralcio dell'articolo (Sole24h del 25-10-2018) sopra riportato credo che chiarisca piuttosto bene il concetto di vantaggio competitivo. Sicuramente con il senno di poi, l’Ungheria, se avesse avuto la possibilità di rigiocare la partita, si sarebbe organizzata ed il vantaggio competitivo della Germania sarebbe stato superato. 

A mio parere, il cambio di approccio che occorre avere nei confronti del vantaggio competitivo rappresenta uno dei cambiamenti più importanti che le imprese devono affrontare oggi, pena il rischio concreto di uscire dal mercato. Il continuare a ragionare di vantaggi competitivi come si faceva un tempo lo considero non solo un sintomo ma il manifestarsi concreto dell’Artigianite, come ho già avuto modo di dire nel mio libro.

Andiamo per ordine!  Non tutto quello che abbiamo imparato è da buttare, anzi, lo dobbiamo studiare e ristudiare per andare oltre!

Se si parla di vantaggi competitivi non si può che partire dall’economista, professore statunitense Michael Porter che ha scritto davvero tanto sulla competizione. Con il libro dal titolo “Competitive Advantage” del 1985 ha affrontato in modo sistematico il concetto di vantaggio competitivo e ha creato la famosa catena del valore di Porter (cfr. Fig.1).

Catena del Valore di Porter

Figura 1- Fonte Michael Porter. Competitive Advantage 1985

La figura 1 mi ha   affascinato da sempre perché al di là della distinzione tra attività primarie ed attività di supporto, comunica immediatamente quello che deve essere l’orientamento di ogni attività aziendale: seguire la “freccia” del margine.   

Il minor costo come Vantaggio Competitivo è il primo aspetto che si esamina ogni volta che si parla della catena del valore di Porter. A seguire la differenziazione ed infine, ma non come ultimo, la focalizzazione. Ora io mi chiedo, prima di partire con qualsiasi disamina, una PMI o una Micro impresa riuscirà mai a diventare un leader di costo nel suo settore di riferimento? Pensando a quale mercato di riferimento?  Avere un vantaggio di costo significa ottenere un costo cumulativo più basso per svolgere le attività generatrici di valore rispetto ai nostri concorrenti. Detto questo significa conoscere bene i nostri costi e quelli dei concorrenti. Tuttavia mi sorge spontanea anche la seguente domanda: siamo certi di conoscere tutti i nostri concorrenti? Non mi sto riferendo solo al fatto che potrebbero abitare dall’altra parte del mondo ma piuttosto, che in questo momento potrebbero svolgere attività che non attengono direttamente al nostro settore.

La differenziazione come vantaggio competitivo, da non confondere con la diversificazione di cui parleremo dopo, è la capacità dell’impresa di imporre un premium price per i propri prodotti superiore ai costi sostenuti per differenziarli, cioè dotarli di caratteristiche uniche che abbiano valore per i propri clienti al di là della semplice offerta di un prezzo basso. Si può manifestare potenzialmente ovunque, nella catena del valore: ogni attività può essere fonte di unicità. Il successo può nascere anche da una sola attività vincente (vedi Caterpillar nella sua rete di assistenza).  Creare un brand è un’altra forma di differenziazione. Evidentemente, manco a dirlo dipende dal percepito dei clienti e quindi come riusciamo a comunicarlo. Oggi siamo tempestati da comunicazioni pubblicitarie che indicano l’unicità del prodotto che stanno promuovendo. Nel mondo digitale, come dice Gaito nel suo libro (Growth Hacker. Mindset e strumenti per far crescere il tuo business.2017), “viviamo in un’epoca dove la realizzazione di un prodotto digitale (un’app, un blog, un e-commerce) è alla portata di tutti, anche di chi non ha conoscenze tecniche avanzate. Il vero problema nasce dopo la realizzazione del prodotto, ed è quello di riuscire a portarlo nei computer e negli smartphone dei tuoi potenziali utenti. Entrare nei loro uffici e nelle loro tasche.” Questa cosa non vale solo per i prodotti digitali, perché per poter affermare che il mio prodotto è differente devo comunque “entrare nelle tasche” dei miei clienti. Molte delle nostre imprese artigiane e PMI sono convinte di avere prodotti differenti, più belli rispetto a quelli che normalmente si trovano sul mercato e a costi più bassi. Inoltre, se parlavamo di turismo, prima dell’arrivo del Covid-19, sentivamo affermare molto spesso che abbiamo i posti più belli al mondo, il cibo più buono, ma non riusciamo a comunicarlo. Come se fosse una giustificazione! David Meerman Scott, famoso marketer americano, ha affermato: “la verità è che a nessuno frega niente del tuo prodotto, tranne che a te!”   

In prima battuta, potrebbe sembrare una risposta brusca e maleducata, tuttavia viviamo in un mondo in cui è davvero difficile differenziare i nostri prodotti e servizi e se vogliamo farlo, occorre in primis affrontare la realtà, faticare, pensare, ripensare, sperimentare, verificare e decidere, consapevoli del fatto che, puntando solo sulla differenziazione, potremmo incappare in un cliente che non è affatto interessato al nostro prodotto “differente” su cui noi abbiamo speso tante energie. Inoltre, laddove dovessimo trovare riscontro avremmo comunque il rischio della contraffazione o l’imitazione. Altrettanto vero che possiamo cercare di difenderci con brevetti, ma ne vale sempre la pena? Ovviamente il limite è sempre quello dell’analisi costi benefici. 

Continuando con lo schema Porter vediamo la focalizzazione come Vantaggio Competitivo. Creare un prodotto qualitativo per una nicchia di mercato o comunque far parte di un settore di nicchia può essere un vantaggio. Se penso alla mia esperienza di imprenditore per il settore nautico, sicuramente posso dire che per un certo periodo ho beneficiato di questa tipologia di vantaggio competitivo. Semplicemente per il fatto di far parte di questo settore che, pur avendo dimensioni mondiali, può essere considerato un settore produttivo di nicchia, avevo un vantaggio competitivo.  Tuttavia con il passare del tempo e con le trasformazioni avvenute nello stesso settore, dove qualità e competenze dell’approccio artigianale di un tempo, stavano progressivamente cedendo il passo ad un approccio più di stampo industriale, ho dovuto comunque fare riferimento ad altre leve come il contenimento dei costi attraverso una migliore organizzazione, l’investimento in un nuovo modo di progettare e monitorare le attività ed introdurre elementi di differenziazione del mio prodotto.

Per il vantaggio competitivo di focalizzazione possiamo individuare due rischi principali: la massa critica della nicchia o l’incapacità di soddisfare le sue esigenze per diversi motivi.

Come detto sopra la diversificazione può rappresentare un vantaggio competitivo e soprattutto un’assicurazione nei confronti di un settore che potrebbe andare incontro a difficoltà. Con il termine diversificazione intendiamo diverse cose che possono essere riassunte dall’efficace definizione di wikipidea: la diversificazione è la crescita basata su nuovi mercati e nuovi prodotti.  Un'impresa che opera su più settori è quindi un'impresa diversificata. 

Igor Ansov conosciuto anche come Anstoff produsse una matrice dove mise in relazione i prodotti ed i mercati in cui emergono sostanzialmente quattro modalità per diversificare.

La modalità orizzontale: produzioni nuove per gli stessi clienti (la meno rischiosa); la modalità correlata o concentrica: nuove attività strategiche (per esempio, si utilizzano competenze tecniche esistenti); la modalità conglomerale: estensione dell'attività verso aree completamente nuove. Nuovi mercati e nuovi prodotti, nuovi clienti con nuove tecnologie; la modalità verticale: l'impresa destina a sé stessa la nuova produzione.

I motivi per i quali le imprese in generale, senza distinzioni dimensionali, adottano strategie di diversificazione sono molteplici: si vogliono ripartire i rischi  su diversi business per non dipendere troppo da uno solo; diminuiscono le opportunità di mercato nel settore in cui l’impresa opera e c’è una stagnazione delle vendite; vi sono interessanti opportunità di espansione in settori con tecnologie e prodotti che integrano il business esistente; le risorse e competenze a disposizione dell’impresa costituiscono fattori chiave di successo per competere in altri mercati; vi sono buone opportunità di riduzione dei costi operando anche in business correlati; si può sfruttare un forte brand in altri ambiti per incrementare le vendite; inoltre per ridurre il rischio del settore e della filiera di appartenenza ed utilizzare i medesimi canali informativi per la ricerca e per l’innovazione, ecc...

Le modalità attraverso le quali operano le imprese per poter ottenere il vantaggio competitivo da diversificazione sono sostanzialmente quelle che vi evidenzierò di seguito: attingendo a competenze esterne o interne, con riferimento a business correlati o non correlati a quello di riferimento, con i pro e i contro in tutte le combinazioni.

Due esempi su tutti per chiarire. Il marchio Sony, come sappiamo si è affermato inizialmente nell’elettronica di consumo ed ha reso agevole ed economico l’ingresso dell’impresa nei mercati dei videogiochi con la console Playstation, favorito dal suo brand e dal mercato correlato utilizzando risorse interne ed esterne. L’altro esempio è General Electric che ha diversificato in settori che spaziano dai materiali tecnici ai servizi finanziari per privati ed ha acquisito/sviluppato imprese, da motori jet per aeromobili militari e civili, ad apparecchiature medicali. Evidentemente ha operato una diversificazione non correlata che, consiste nell’entrare in business che presentano catene del valore totalmente scollegate e prive di rapporti incrociati. In quest’ultimo caso l’impresa che opera questo livello di diversificazione lo fa seguendo le logiche finanziarie che, significano seguire tutti i settori con opportunità di crescita e di redditività.

Figura 3. Vantaggio competitivo come strumento per superare la crisi

In figura 3 ho riportato un’immagine che girava sul web e che mi trova molto d’accordo, relativamente alla possibilità di superare le crisi con la differenziazione e la diversificazione, considerandoli come i veri vantaggi competitivi in grado di farlo e pensare alla riduzione di costo come attività fondamentale, ma che non garantisce da sola nel lungo periodo la permanenza sul mercato.

Le crisi che ogni impresa deve affrontare possono essere di diverso tipo: riguardare la singola azienda, il settore di appartenenza, il sistema economico in generale o di alcune parti di esso ma, certamente, avere dei vantaggi competitivi è la chiave per poterle superare più facilmente. Riguarda quindi tutte le imprese che stanno sul mercato, indipendentemente dalle loro dimensioni. 

Ovviamente una PMI o una ditta artigiana possono avere meno vantaggi competitivi su cui puntare rispetto ad una grande azienda, soprattutto se occorrono dei capitali da cui partire. Tuttavia è mia profonda convinzione che, fatte le giuste proporzioni, debbano avere lo stesso approccio: la ricerca costante di vantaggi competitivi. 

Avere consapevolezza di questo e decidere su cosa puntare sono scelte strategiche che devono essere ben ponderate. E’ fondamentale avere una cultura del dato diffusa in azienda, compiere un'analisi SWOT per verificare i punti di forza e di debolezza, verificare il proprio settore di riferimento con il modello delle 5 forze competitive di Porter, dedicare una parte del budget in sperimentazioni per poi concentrarsi su quelle che funzionano ed infine, ma non da ultimo, ragionare fuori dagli schemi per ricominciare da capo l’analisi, perché come detto sopra dobbiamo riuscire ad andare oltre. Evidentemente dobbiamo tenere conto anche del timing, non possiamo impiegare anni per fare questa analisi, altrimenti il mercato nel frattempo è cambiato ulteriormente e finiamo per fare un esercizio sterile. Ad ogni modo la scelta dei vantaggi competitivi è una decisione strategica che dovrà essere formalizzata   per poter essere poi monitorata. Non la si può fare in cinque minuti!



giovedì 11 febbraio 2021

Covid 19 – Briciole di cultura - Come ti ho fatto un vaccino in pochi mesi

 a cura di  Roberto Budassi - Medico Pediatra

Capitolo 4 

Quando veniamo infettati per la prima volta da un virus o un batterio, il nostro organismo mette in atto una specifica risposta immunitaria di difesa, attivando una serie di cellule specializzate, alcune che producono anticorpi, detti anche immunoglobuline – Ig, (linfociti B), altre che sono in grado di distruggere le cellule infettate (linfociti T citotossici) e altre che sono in grado di riconoscere il germe in caso di una nuova infezione (linfociti T della memoria). Si assiste dapprima alla produzione di anticorpi della classe IgM, più grossolani e di efficacia ridotta, per arrivare nel volgere di un certo numero di giorni a quelli di classe IgG, molto più affini all’obiettivo, quindi più efficaci ed anche più duraturi. Il problema è che nel lasso di tempo che intercorre fra l’infezione e in momento in cui le difese diventano efficaci è possibile che si sviluppi una malattia che può risultare anche molto grave ed a volte fatale.

Ovviamente chi ha superato la malattia ha prodotto una certa quantità di anticorpi IgG che lo hanno guarito e che lo difenderanno per un certo periodo di tempo da una eventuale nuova infezione con lo stesso germe. È il discorso del plasma “convalescente” di cui abbiamo trattato in precedenza. Non solo, ma in caso di reinfezione verranno prodotti rapidamente ulteriori anticorpi IgG da parte di linfociti B a loro volta attivati dai linfociti T della memoria immunitaria, i quali anticorpi si sommeranno a quelli già presenti in circolo. È anche possibile che entrino in gioco i linfociti T citotossici arruolati nel corso della prima infezione. Questo complesso processo che si attiva nel momento di una eventuale reinfezione è detto risposta secondaria ed è solitamente in grado di impedire l’instaurarsi di una seconda malattia, quanto meno nelle forme più gravi.

L’azione dei vaccini è proprio questa: suscitare una robusta risposta secondaria senza prima dover passare attraverso i rischi della malattia naturale dovuta alla prima infezione. Per fare ciò un vaccino deve essere in primis immunogenico, cioè capace di attivare una risposta immunitaria, la qual cosa si può controllare attraverso il dosaggio degli anticorpi IgG, e poi per via degli anticorpi prodotti deve risultare anche protettivo, e questo lo possiamo verificare attraverso la sperimentazione sul campo, ne parleremo più avanti. In sostanza la risposta immunitaria indotta dal vaccino deve dare origine ad una buona quantità di anticorpi e che siano quelli giusti, cioè in grado di neutralizzare il germe incriminato, altrimenti sarebbe come una zecca che stampa soldi falsi. Infine, la citiamo per ultima ma è una qualità irrinunciabile che va considerata per prima, un vaccino deve dimostrare di un buon profilo di sicurezza, cioè non causare effetti indesiderati così importanti da sconsigliarne l’utilizzo.

Dobbiamo anche puntualizzare che un vaccino risulta protettivo anche se non induce la produzione di tutti gli anticorpi che si sviluppano durante la malattia naturale. Infatti per neutralizzare un qualsiasi germe patogeno è sufficiente disporre anche di pochi anticorpi, ma che siano in grado di interferire efficacemente su di una sua funzione fondamentale. Nel caso del SARS-Cov2, tutti i vaccini, indipendentemente da come siano stati costruiti, stimolano la produzione di anticorpi IgG diretti verso la proteina Spike del virus che, come abbiamo visto in precedenza, è fondamentale perché il virus possa entrare nelle cellule. Bloccando la funzione della proteina Spike, il virus non può entrare nella cellula e l’infezione non può avvenire. Abbiamo già visto che diversi anticorpi monoclonali hanno lo stesso meccanismo d’azione.

In realtà produrre un vaccino è una lunga e complessa operazione che dall’ideazione all’ingresso nella pratica clinica, passando attraverso varie fasi sperimentali, diverse autorizzazioni e poi processi industriali, necessita generalmente di molto tempo, in media di circa 10 anni.

Tuttavia i primi vaccini contro il Covid sono entrati nella pratica clinica dopo appena 10 mesi di sperimentazione, e ciò è stato realizzato senza scorciatoie e rispettando tutte le cautele necessarie, nello stesso standard di tutti i vaccini già in uso verso altre malattie. In altre parole la grave situazione pandemica ha reso necessaria la messa in campo di ogni azione in grado di abbreviare i tempi di ciascuna fase, ma senza nulla concedere alla fretta. Potremmo riassumere i cardini di questa operazione in cinque punti fondamentali:

1.      Rapida divulgazione delle nuove conoscenze fra i ricercatori; inoltre immediata adesione alla ricerca da parte dei migliori centri universitari e i migliori ospedali nel mondo. Trovare il supporto scientifico di centri “di livello” costa molto tempo: almeno un anno risparmiato.

2.      Utilizzo di tecnologie già note. Trattandosi di un coronavirus simile a SARS-Cov e MERS-Cov (di cui abbiamo già parlato nel capitolo 2) i metodi per produrre i vaccini erano già pronti. Fino a 5 anni risparmiati.

3.      Finanziamenti immediati e sicuri da parte degli Stati, rischio finanziario zero a carico delle aziende, che non solo non hanno risparmiato sforzi nella ricerca, ma hanno anche prodotto considerevoli quantità di vaccini prima del termine della sperimentazione e della successiva approvazione (che poteva anche non arrivare) e hanno reso i primi lotti immediatamente disponibili. Fino a 3 anni risparmiati.

4.      Sperimentazione ultra-rapida:

a.      Non sono stati necessari studi su colture cellulari, già noti con SARS e MERS: un anno risparmiato.

b.     Stante la gravità della situazione, si sono resi disponibili immediatamente tutti i volontari necessari, tanto che il reclutamento è terminato in poche ore invece di molti mesi: un anno risparmiato.

c.      Le fasi sperimentali di sicurezza e immunogenicità (fasi 1 e 2) sono state portate avanti assieme, circa 6 mesi risparmiati.

d.      La fase sperimentale 3, in cui si saggia l’efficacia del vaccino sul campo, è stata brevissima. In questa fase un certo numero di volontari viene trattato con il farmaco in studio, nel nostro caso il vaccino contro il Covid, ed un numero simile viene trattato con un placebo, un finto vaccino, cioè una sostanza priva di qualsiasi azione farmacologica, senza che né il volontario e nemmeno lo sperimentatore conoscano a chi sia stato somministrato il farmaco e a chi il placebo (sperimentazione in “doppio cieco”). La sperimentazione di fase 3 cessa al raggiungimento di un certo numero di casi di malattia, la qual cosa in genere può richiedere anche anni. Nel nostro caso l’obiettivo è stato raggiunto in soli alcuni mesi, in quanto sono stati coinvolti molti più volontari del solito (decine di migliaia, invece di alcune migliaia), poi tracciati in zone ad alta densità di contagio (Brasile, India e USA, per esempio).

5.      Generalmente l’enorme mole di dati prodotta nel lungo periodo di sperimentazione viene trasmessa in blocco agli organi regolatori (per es. FDA. negli USA, EMA per l’Europa e AIFA in Italia) solo al termine della sperimentazione stessa, i quali organi regolatori impiegano mediamente da uno a 3 anni per studiarli ed infine per autorizzare l’utilizzo clinico del farmaco o vaccino che sia. Questa fase è stata enormemente compressa, utilizzando la tecnica della cosiddetta “rolling review”, per cui i dati sono stati trasmessi agli organi regolatori alla fine di ciascuna fase sperimentale, rendendoli edotti sui risultati in tempo reale. Alla richiesta di autorizzazione l’esame dei pochi dati rimasti è stato rapido e immediato. Da uno a tre anni risparmiati.

Con questo capitolo abbiamo concluso la trattazione di alcuni aspetti fondamentali di questa nuova malattia, per certi versi straordinaria ed unica. Abbiamo trattato della incredibile possibilità di espansione del contagio, di quanto possa risultare grave il processo patologico, abbiamo accennato alle poche ma sempre più efficaci armi che abbiamo per curarla ed ai mezzi per prevenirla, cioè dei vaccini. Il prossimo e ultimo capitolo tratterà degli scenari futuri, in cui analizzeremo le variabili che influiscono su ciascuno degli aspetti precedentemente trattati.

giovedì 4 febbraio 2021

Covid 19 - Briciole di cultura - Difendiamoci!

 a cura di Roberto Budassi - Medico pediatra

Capitolo 3


Alla segnalazione dei primissimi casi di Covid-19 in Cina nel gennaio di un anno fa, l’intero mondo scientifico si è mosso e con gli attuali mezzi di indagine non è stato difficile caratterizzare rapidamente il virus e capire come si sviluppava la malattia, specie nella forma grave, quella che spesso porta all’exitus. In effetti quella che in un primo tempo veniva considerata semplicemente una grave forma di polmonite bilaterale, in realtà era un processo patologico molto più complesso. E fu presto chiaro che la malattia decorre in tre fasi  schematizzate nella figura sotto: nella prima fase prevale la replicazione virale; nella seconda il virus raggiunge il tessuto polmonare e causa una polmonite bilaterale evidenziabile principalmente con la TAC econtemporaneamente si instaura una risposta iper-infiammatoria da parte dell’organismo del paziente; durante la terza fase l’infiammazione si intensifica ulteriormente, ormai svincolata dalla persistenza o meno di forme attive del virus e si possono verificare le complicazioni più temibili, specialmente a carico del cuore, dei reni e del tessuto polmonare che sempre più viene distrutto dall’imponente stato infiammatorio. Il tutto è aggravato da una sorta di iper-coagulazione del sangue che causa innumerevoli trombi a carico di vari organi. È evidente che si tratta di una situazione molto grave che in numerosi casi può portare al decesso del paziente.



Come ci si difende da una simile catastrofe?

È scontato che le nostre strategie devono per prima cosa impedire che il paziente raggiunga la fase 3, che devono interrompere la progressione del processo patologico preferibilmente già in fase 1 o in fase due iniziale. Occorre anche tener conto che sostanzialmente tutti i pazienti in fase 1 si trovano a domicilio e che quando un paziente viene ricoverato di solito si trova in fase 2 più o meno avanzata. I pazienti in fase 3, a meno di una progressione particolarmente veloce, si trovano già in ospedale da giorni. Infine è anche bene puntualizzare che sia l’ossigeno e i sostegni alla respirazione in genere, necessari per superare le forme gravi di difficoltà respiratoria, sia gli antibiotici, utilizzati per prevenire e/o trattare le sovrainfezioni batteriche specie in ospedale, non hanno un ruolo fondamentale al fine di bloccare il visus e arrestare la progressione della malattia, pur essendo indispensabili per mantenere in vita il paziente in attesa di un miglioramento.

Detto ciò, nella prima e seconda fase possiamo utilizzare tutti i farmaci che si oppongono alla replicazione virale, per esempio gli antivirali veri e propri, ma quelli testati finora hanno mostrato un’attività da scarsa a discreta, ma non risolutiva. Sono tra l’altro costosi e poco maneggevoli a domicilio e quindi spesso vengono utilizzati in ospedale in fasi poco precoci. Il cortisone invece è un farmaco estremamente importante per l’azione antinfiammatoria di cui è dotato ed è il farmaco principale per ostacolare la progressione verso la fase 3 e come è noto può essere somministrato anche a domicilio, come pure gli anticoagulanti utili nella profilassi delle tromboembolie. In molti casi, ma purtroppo non sempre, queste terapie sono in grado di arrestare la malattia e favorire la guarigione.

Nel caso di pazienti con andamento più problematico, in fase 2 o 3 per rifarci al nostro schema, si è molto discusso dell’utilizzo del plasma iperimmune, detto anche “convalescente” perché ottenuto dal sangue di soggetti guariti, i quali ovviamente hanno prodotto anticorpi verso il virus. È una terapia nota da circa un secolo e può anche fornire in diversi casi un contributo decisivo verso la guarigione. Tuttavia il plasma convalescente non è un “prodotto” standardizzato, in quanto non conosciamo la qualità degli anticorpi che vi si trovano, essendo potenzialmente un miscuglio diverso per ogni singolo donatore. È evidente inoltre che la disponibilità di plasma dipende dal reperire donatori in numero adeguato e tra l’altro non tutti sono idonei.

Superiamo i problemi del plasma iperimmune utilizzando in terapia i cosiddetti “anticorpi monoclonali”, con i quali mettiamo in atto terapie farmacologiche molto più efficaci e mirate. Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi tutti uguali e vengono prodotti in laboratorio da una unica linea cellulare con tecniche molto consolidate e vengono impiegati da molti anni nella terapia delle forme gravi di alcune malattie (artriti croniche, tumori maligni, per esempio). Hanno il vantaggio di poter essere prodotti in quantità illimitata, di essere molto puri, molto più attivi del plasma e quindi efficaci anche in quantità molto piccole. Quindi una volta individuato uno o più anticorpi in grado di bloccare il virus in una qualche fase della sua replicazione, lo si produce in laboratorio mediante una linea di cellule che genera solo quello. Nel nostro caso si è puntata l’attenzione sulla proteina Spike del coronavirus. 

La proteina Spike costituisce appunto la “corona” e serve al virus per agganciarsi a speciali strutture che si trovano sulla superficie delle cellule, dette recettori ACE2, entrare nella cellula e dare il via all’infezione e quindi alla malattia. Un anticorpo che fosse capace di legarsi alla proteina Spike e quindi di impedire l’interazione tra la proteina Spike e il recettore ACE2 sarebbe potenzialmente in grado di impedire l’attivazione coronavirus e di conseguenza potrebbe arrestare o persino prevenire la malattia, se somministrato prima del contagio. Al momento vi sono numerosi anticorpi monoclonali in sperimentazione ed alcuni sono già stati utilizzati, ma non in Italia. I risultati sono molto promettenti (per esempio un monoclonale prodotto in Italia dalla Eli Lilly ha dimostrato di poter arrestare la progressione verso la fase 3 nel 70% dei casi) ed effettivamente quanto saranno entrati nell’utilizzo routinario (al momento si stanno facendo pressioni perché lo si faccia immediatamente) potrebbero rappresentare il fulcro della terapia, quando somministrati nelle fasi precoci della malattia.

Se da un lato ci auguriamo di dare una svolta decisiva alla terapia del Covid-19 con gli anticorpi monoclonali, dall’altro appare chiaro che solo con i vaccini avremo la possibilità di interrompere rapidamente e definitivamente la pandemia. Di questo tratteremo nel prossimo capitolo.